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L’infermiera sorda
La tenacia di Simona, infermiera audiolesa: “La sordità non mi ha fermato”. Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una nostra lettrice, che ha voluto raccontare la sua storia.
Salve, sono Simona Marino, ho appena concluso il corso di laurea in Infermieristica presso il distaccamento di Viterbo dell’università la Sapienza di Roma. Ho già rilasciato un’intervista circa un anno e mezzo fa su Nurse Times, raccontando la mia aspirazione alla professione di infermiera, che mi ha impegnata nel corso del tempo ad affrontare la sfida di avanzare negli studi, nonostante la mia sordità neurosensoriale bilaterale profonda, che non mi dà la possibilità di affrontare la vita con le stesse capacità uditiva della maggioranza della popolazione.
Nella precedente intervista ho raccontato le enormi difficoltà che ho incontrato nella vita, soprattutto dovute all’indifferenza delle istituzioni, che mi hanno negato la pensione di invalidità al raggiungimento del 18esimo anno di età per ben 6 anni. Periodi in cui, senza sussidi, ho dovuto interrompere il mio percorso di studi, non avendo oltretutto nessuna agevolazione per affrontare economicamente il percorso universitario.
Oggi ho finalmente coronato il mio sogno e sono infermiera iscritta all’albo. Nel corso del tempo, nell’attività didattica, ho acquisito sempre più dimestichezza con le materie di studio, immergendomi con passione, sempre più convinta di avere le capacità per affrontare il percorso.
Non mi sono mai scoraggiata, neanche quando sembrava impossibile per me. Ad esempio, non ho mai potuto beneficiare dell’ascolto delle lezioni dei docenti, in quanto la mia sordità mi impedisce di seguire per filo e per segno l’intera lezione, svolta in un’aula dove l’acustica non facilita la comprensione e il mormorio dei compagni disturba i miei apparecchi acustici, rendendo spesso confuso il segnale.
Ho sopperito con registrazioni e sbobinamenti e, grazie al supporto dell’ufficio disabili, che mi ha fornito il supporto di tutor, ho potuto almeno in parte colmare alcune difficoltà. Sempre grazie all’ufficio disabili, ho avuto un Ipad in comodato d’uso gratuito, che mi ha permesso di visualizzare le slide e studiare varie materie.
Il percorso di tirocinio effettuato all’Ospedale Belcolle di Viterbo, e in parte all’ospedale di Montefiascone è stato per me molto più semplice. Infatti, in ogni reparto in cui sono stata impiegata sono riuscita ad applicare le tecniche infermieristiche che mi venivano insegnate. Ricordo che spesso mi sono sorpresa di me stessa, scoprendo ogni giorno di più che la scelta di fare l’infermiera è stata quella giusta.
Nella mia vita, avendo la disabilità uditiva, ho dovuto sviluppare una maggiore capacità di osservazione rispetto agli altri e, grazie alla lettura del labiale (capacità sviluppata sin dalla tenera età), ho scoperto essere molto utili nell’approccio con i pazienti. Spesso i pazienti, oltre alle cure mediche, si trovano ad affrontare situazioni di disagio psicologico, nonché di sofferenza fisica, e necessitano di supporto a livello umano. Questa è stata una grande opportunità per mettere in campo le mie capacità a livello umano. Infatti ho potuto trasformare la sofferenza di una vita ai margini della società, date le difficoltà economiche della mia famiglia, e la tremenda indifferenza del mondo nei confronti di una disabilità, che talvolta è pesata su di me come un macigno.
Tra il fenomeno del bullismo nei miei confronti e l’indifferenza di molti, ho sviluppato la tendenza a prendermi cura di tutti coloro che si trovano ad affrontare patologie e disabilità. So perfettamente come ci si sente a essere non assistiti nella malattia. Mi basta ricordare che, fino all’ età di otto anni, avevo un solo apparecchio acustico, oltretutto nemmeno adatto al tipo di sordità che ho.
Spesso i pazienti mi hanno dato enormi soddisfazioni, facendomi i complimenti per la mia disponibilità alla comprensione, soprattutto per quanto riguarda il disagio del ricovero e la sofferenza della malattia. Un altro aspetto che mi ha dato soddisfazione è la comunicazione con i pazienti tracheotomizzati, che possono esprimersi soltanto con il movimento delle labbra. Ricordo con piacere che più volte è capitato di essere chiamata in causa nei vari reparti per comprendere cosa volesse comunicare il paziente.
Devo ringraziare molte persone che, lungo il percorso universitario e di tirocinio, si sono rese disponibili ad aiutarmi: colleghi, amici, docenti, Ufficio disabili, dottori, infermieri. Ma soprattutto devo ringraziare mia suocera, che si è spesso sostituita a me durante i tre anni nel crescere ed educare mia figlia, che a otto mesi dalla nascita ha dovuto fare i conti con questo mio impegno quasi a tempo pieno.
Devo inoltre ringraziare il mio compagno, che si è dannato l’anima per trovare le leggi che mi dessero il diritto a riavere la pensione di invalidità, quasi come fosse un avocato, incoraggiandomi con insistenza nella mia crescita personale, facendomi credere nelle mie capacità e stimolando la mia voglia di affrontare il percorso. Lui dice sempre che a volte ci credeva solo lui. Ed è vero, perché quando lo conobbi, all’età di 24 anni, ero sfiduciata, abbandonata a me stessa, senza grosse pretese, spesso convinta che in fin dei conti non valevo niente. Ma il suo amore mi ha salvato, lanciandomi verso la vita, dandomi una splendida bambina e contribuendo a farmi diventare un’infermiera.
Questa storia che ho voluto raccontare nasce dal bisogno di comunicare a tutte le persone audiolese che nulla è impossibile, neanche per noi sordi. Il messaggio che voglio dare è che nelle difficoltà risiede il seme della crescita personale, e nella sofferenza si può riflettere, trasformare la propria vita in una missione, come ritengo sia quella dell’infermiere.
Simona Marino. Fonte: nursetimes.org
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