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Non vogliamo essere freaks …

Non vogliamo essere freaks!. Il termine inglese «freak» sta ad indicare, letteralmente «fenomeno, anomalia», corrisponde al termine latino «monstrum» o al greco «tèras». Dal termine freak ha origine «frakkettone» italianizzato in fricchettone, utilizzato negli anni Settanta del secolo scorso per indicare i seguaci del movimento hippy.

Qualcuno ricorderà il famoso circo Barnum.  Barnum fu il primo impresario a intuire che l’osceno, il mostro, il diverso avrebbero potuto  incuriosire i «normali» e, quindi, potevano essere fonte redditizia  (per la sua impresa circense). Barnum si dette da fare per  cercare, in ogni dove, gente mostruosa, che addestrò a recitare per il suo Circo. Ecco che presenta agli spettatoti la donna barbuta, la donna cannone, i gemelli siamesi, il nano cavallerizzo e tanti altri «poveretti» deformi nel corpo. Dunque mostra il diverso per far denaro: il sano imprenditore  (Barnum) ammucchia soldi  “vendendo” la disabilità, allora la ‘mostruosità!

Oggi siamo sulla stessa linea? Forse che sì o forse che no. Quando parliamo o scriviamo di «disabilità» dobbiamo svolgere, talvolta, una verifica di controllo della/e persona/e  del cosiddetto «normale» e a che scopo, d’improvviso,  si fa avanti  per comandare o gestire la comunità dei disabile, o un determinato Gruppo.

Riflettiamo, per esempio, sul fatto del bambino sordo che passa ore e ore con la logopedista allo scopo che possa articolare in modo chiaro le parole e strutturare il linguaggio della maggioranza. Spessissimo ci viene imposto, dalla società, di dare l’ostracismo a qualcosa per il semplice motivo che siamo unici o in minoranza a considerare quel che ci piace, oppure ciò che ci è più comodo per esprimere le nostre potenzialità psicointellettive e affettive. Il concetto di «beltà o bellezza» sono personali. Così tante altre indicative connesse alla persona con una specifica disabilità! Infatti, la scelta del partner per il fatto di piacerci o che giudichiamo bello/a  dipende da tantissimi fattori: elementare realtà nota a tutti gli psicologi.

Oggi, fra gli individui adulti o in età evolutiva con disabilità, solo i sordi  e gli ipoacusici non ‘mostrano’ l’handicap invisibile, almeno sino a quando stanno zitti (sic!). Ma nell’assenza o carenza di adeguate strutture, e di personale qualificato, la sordità ne frena l’accesso alla partecipazione attiva. Sono dunque le «barriere di comunicazione», l’ignoranza dell’interlocutore, la  sua scarsa pazienza e sensibilità che impongono il sordo a uscire dalla babele del chiacchiericcio sociale per starsene in solitudine umiliato e avvilito, talvolta con esplosione d’ira che, gli udenti, giudicano  subito come sintomi psichiatrici.

Ebbene quando il sordo inizia ad esprimere un pensiero autonomo e costruttivo, accade che – chi gli è attorno – mugugni. Ponendosi domande, tipiche di chi è umiliato, ‘come si permette di passarmi avanti, essere più bravo di me, che sono normale?’  Queste sortite, in Italia, sono consuete perché non c’è un’educazione dell’accettazione dell’altro rispettandolo nella condizione fisica e sensoriale. Infatti quando notiamo la presenza di un deficit sul corpo dell’altro, è sempre quest’ultimo che prende il sopravvento sull’intelligenza e il coraggio! Per tanti anni la comunità ha tenuto i soggetti – indicati con termini apparentemente crudeli, ma significativi: i «sordomuti», i «ciechi», gli «storpi», i «deficienti», i «matti» eccetera – nei circhi Barnum, secondo determinati periodi storici, che potevano essere le «scuole  speciali», i «ghetti degli immigrati», i «manicomi» (….).

Noi eviteremo d’essere freaks se riusciremo a divenire protagonisti della nostra cosiddetta disabilità: e non finiremo nel “circo barnumiano”, che  sempre ci sfrutterà, notando in noi solo il difetto, l’anormalità, il fuori norma!. E avviene soprattutto imponendoci regole e standard di normalizzazione  e potenziali capacità del corpo «normale»  – il loro corpo insomma che dovremmo imitare in tutta l’efficienza! – .  Eppure a taluni, il nostro body ferito, può sembrare come mezzo di comunicazione  efficace e apollineo, originale! E poi i normodotati  (o presunti tali)  non dovrebbero sempre attingere allo psittacismo di un’etica, professionale o di  comportamento, che è, appunto, di ripetizione pappagallesca. Dobbiamo apprendere (soprattutto noi sordi!) a comunicare le nostre idee nella lingua che conosciamo meglio:  che sia essa verbale o segnica è indifferente purché si tenga lontano i Burattinai che, spesso, ci impediscono – per  evidenti scopi di lucro o di frettolosa ricerca di  lavoro, mascherato di presunta competenza per il fatto di conoscere quattro segni –  di manifestarci in ciò che effettivamente siamo.

Approdiamo al traguardo di essere persona. I politici, eletti in Parlamento anche  da noi, comprendano soprattutto questo, oppure i segretari di partito iniziano a mettere in Lista più disabili. Noi, sino ad oggi, siamo stati democratici e onesti di tacere, di non chiedere la «quota», come è per il genere femminile, con la speranza che, i candidati normali, fossero in grado di risolvere i nostri problemi.  Se non ascolteranno le istanze dei disabili, inizieremo con la richiesta da subito.
Renato Pigliacampo – nw103 – 2013

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«La storia è testimonio dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita» (Cicerone)
«La storia non è utile perché in essa si legge il passato, ma perché vi si legge l’avvenire» (M.D’Azeglio)
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“Storia dei Sordi. Di Tutto e di Tutti circa il mondo della Sordità”, ideato, fondato e diretto da Franco Zatini

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