Iscriviti: Feed RSS
cerca nel sito
Essere bilingui (per gioco)
Essere bilingui (per gioco).
Professionisti non udenti, ex borsisti alla Gallaudet University, illustrano nuovi metodi per superare barriere della comunicazione. In Italia non sente un bambino su mille al di sotto dei tre anni
MILANO – Dai giochi per apprendere la lingua dei segni (Lis) e quella scritta alle strategie per favorire l’integrazione tra bimbi sordi e udenti come, per esempio, attività musicali con cantanti e segnanti, oppure laboratori d’arte e cucina. Nuovi metodi per favorire fin da piccoli lo sviluppo di un linguaggio adeguato che aiuti ad abbattere le barriere della comunicazione. Se ne parla il 12 maggio a Roma al convegno «Infanzia e sordità», promosso dall’associazione Cabss, Centro Assistenza per Bambini Sordi e Sordociechi, in occasione del ventesimo anniversario dell’istituzione della borsa di studio «Roberto Wirth».
FACILITARE LA COMUNICAZIONE – I relatori sono professionisti non udenti che, grazie alla borsa di studio, hanno seguito per un anno corsi di specializzazione in educazione, psicologia e counseling nell’ambito della sordità infantile alla Gallaudet University di Washington, l’unico ateneo al mondo bilingue (American sign language e inglese) totalmente accessibile agli studenti che non sentono e a quelli parzialmente sordi. L’Università americana forma intervenor, cioè figure specializzate che mediano tra il bambino sordocieco e l’ambiente in cui vive quotidianamente, facilitando la comunicazione con gli altri.
DIAGNOSI PRECOCE – «Nel corso di questi 20 anni, molti giovani sordi hanno avuto l’opportunità di formarsi negli Stati Uniti e, una volta rientrati in Italia, hanno messo la loro esperienza a disposizione dei bambini italiani», afferma Roberto Wirth, presidente dell’Associazione, non udente fin dalla nascita.
Nel nostro Paese la sordità colpisce un bimbo su mille al di sotto dei tre anni, due su mille tra i quattro e i dodici anni. «Nei bambini ricoverati in terapia intensiva neonatale e pediatrica l’incidenza è anche dieci volte maggiore: si può arrivare a uno – due neonati ogni cento – sottolinea Claudio Moretti, primario dell’Area emergenza pediatrica del policlinico Umberto I di Roma – . La prevenzione è importantissima: lo screening neonatale è una misura che permette di accertare la sordità e quindi attivare subito le prime terapie senza perdere tempo prezioso».
SUPPORTO PSICOLOGICO – Oltre all’intervento medico va curato anche l’approccio psicologico. «Nel 90% dei casi i bimbi che non sentono sono figli di persone udenti: la nascita di un piccolo “diverso” può essere un trauma per loro – spiega la psicologa Stefania Fadda, direttrice del Cabss -. Per questo nelle nostre strutture cerchiamo di dare supporto psicologico ai genitori, oltre che ai bambini non udenti, stimolandoli a diventare adulti indipendenti anche grazie all’utilizzo di programmi e laboratori multisensoriali che favoriscono un adeguato sviluppo cognitivo, emotivo, sociale, linguistico e comunicativo».
IN AULA ANCHE I GENITORI UDENTI – Il Parent Infant Program, per esempio, è un programma per bambini con meno di tre anni che hanno una disabilità sensoriale: prevede la presenza in un contesto scolastico di due insegnanti, uno sordo e uno udente, che in aula stimolano i piccoli a partecipare alle attività. «È un metodo che ho studiato alla Gallaudet University – spiega Vincenzo Speranza, ex borsista, che lavora come educatore in una scuola -. Permette ai bambini di acquisire la conoscenza della lingua per poter superare la barriera della comunicazione». Il programma prevede poi la presenza in aula di genitori udenti, in modo che possano imparare modalità di comunicazione efficaci coi propri figli.
Maria Giovanna Faiella
14 maggio 2012 – Fonte: corriere.it – nw087
INFO:
Corriere della Sera – Disabilità