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Racconto il mio silenzio.

Racconto il mio silenzio

“Diventerò sorda totale? Non è possibile, non può essere vero.”I dottori mi avevano avvertito. Io non capivo veramente il significato della parola ” sorda”, a parte che voleva dire non sentire più la musica e non poter più telefonare alle amiche, punto. Non riuscivo a credere che, dopo tante sofferenze, passate da piccola facendo da spola tra ospedali, potesse succedermi qualcos’altro di brutto. Proprio ora che iniziavo ad appassionarmi alla musica. No, si sbagliavano. “I medici sono sicuramente pessimisti”, mi dicevo.

Avevo 15 anni e un tumore chiamato neurinoma del nervo acustico all’unico orecchio dal quale sentivo. Dall’altro, il destro, avevo già perso l’udito da piccola, a 5 anni, per un tumore con il nome di astrocitoma del cervelletto, che mi fece perdere anche la vista dall’occhio destro.

Invece, quando mi operarono, dopo che iniziavo a sentire in modo disturbato le voci e la musica, restai davvero sorda completa. Ricordo quando mi svegliai in sala rianimazione e fu la prima cosa che percepii: guardavo le infermiere che parlavano e non capivo nulla. Poi, arrivarono mia mamma e, in seguito, mio papà, con i camici verdi, e mi dissero muovendo lentamente le labbra che ero rimasta totalmente sorda. Mi chiesero se ci vedevo bene dall’occhio sinistro. Certo che ci vedevo bene, ma non sentivo più! Ero arrabbiata con i dottori, con le infermiere e pure con i miei genitori che, dopo poche parole, se ne erano andati via non potendo stare lì, lasciandomi sola!! Volevo tornare in camera mia, nel reparto, da mia mamma! Lì, in rianimazione c’era un chiarore abbagliante e non capivo se era ancora giorno o notte, che ore fossero. Avevo un freddo gelido per la febbre alta e mi davano fastidio i tubicini dell’ossigeno nel naso e le placche del cardiogramma. Per la rabbia strappavo tutto.

Quando tornai nel mio reparto, passai la bellezza di un mese con una meningite acuta. Un incubo! Ai medici che venivano nella mia stanza, chiedendomi come stessi, rispondevo: “Bene!”. Avevo paura di loro e volevo che andassero via, anche se stavo da schifo ad essere sincera. Il mal di testa non mi lasciava dormire e vomitavo l’anima. La meningite era dovuta al fatto che, i dottori, avevano rimosso completamente il tumore, ma chissà perché, lo capirono soltanto dopo avermi fatto svariate T.A.C. e una biopsia alla schiena, ennesima tortura, per comprenderne la causa. Si pensava che fosse dovuta al malfunzionamente del drenaggio che ho in testa fin da piccola, che più di una volta, si era inceppato causandomi mal di testa e avevo dovuto sostituirlo. Speravo ancora con tutto il cuore che, passata la meningite, avrei recuperato l’udito dall’orecchio sinistro, invece, giorno dopo giorno, mi accorgevo che non sarebbe successo.

Sono passati 18 anni da quell’ultimo fatale intervento e, solo ora, trovo la forza per parlarne e raccontare i ricordi rimasti impressi nella mia mente e nel mio cuore.

La meningite passò e tornai, barcollante, a casa. All’inizio, non volevo vedere nessuno e che nessuno mi parlasse, perché avrei dovuto leggere dalle labbra. Mia mamma mi scriveva su una lavagnetta. Ma, ormai, non c’era più niente da dire. La realtà era più brutta di quanto avrei potuto immaginare. La mia vita era stata spezzata, senza che ne avessi nessuna colpa, anzi mi sarei meritata un po’ di tranquillità, a questo punto. Per me e per mia mamma che, più di ogni altro, è costantemente stata presente durante le mie degenze in ospedale. Ero arrabbiata con il mondo per la mia condanna. Mi dicevano: “Evy, avresti potuto perdere anche la vista e rimanere sorda e cieca”, e io rispondevo che non m’importava, non la trovavo una consolazione. Sarebbe stato meglio morire piuttosto che restare sorda. Ho perso la fede in Dio. L’ho considerato responsabile della mia sordità, anche se, da piccola, avevo molta fede e persino un altarino in camera mia e pregavo e cantavo.

Avevo sogni? Non lo ricordo più.

Il mio mondo del silenzio è fatto di fruscii, ma non ho idea di cosa siano. All’inizio, non abituata, li avevo scambiati per suoni reali e mi illudevo di sentire ancora qualcosa. I frusci, più tardi, cominciarono a sembrarmi insetti che mi divoravano. Come avrei potuto continuare a vivere in questo stato? Non avevo mai conosciuto una sola persona sorda.

Non ho più memoria uditiva, perché non ricordo più le voci e alcuni suoni, dopo tanto tempo, e ormai, non li ritroverò più, a meno di un miracolo. Fino ad ora non ho avuto nessuna speranza di tornare a sentire, con entrambi i nervi acustici danneggiati irreparabilmente. Adesso sono tranquilla e ho trovato una certa dimensione. Ho avuto tanto tempo per rassegnarmi e imparare a convivere con il silenzio, anche se mi manca la musica, soprattutto nei momenti in cui, triste, cerco un pò di conforto. Non è lo stesso leggere i testi delle canzoni. A volte, è dura convivere con questa sordità, non è come la quiete del silenzio in campagna o nella propria camera, quando si è soli. È un silenzio vuoto, profondo, assoluto, nell’assenza di ogni stimolo sonoro. La gente spesso, anche le persone che dovrebbero essere competenti nel campo della sordità, ignorano cosa significa veramente essere sordi, essere sordi quanto lo sono io soprattutto. Di certo, bisogna esserci dentro per capire. Io stessa, prima di essere operata, come ho già detto, non sapevo cosa volesse dire davvero la parola “sordità” Non condivido chi mi dice che sono fortunata a non sentire in certi casi, come quando gridano e fanno casino i miei nipotini. Mi piacerebbe tanto sentirli!

Ho, però, avuto la fortuna di conoscere un’amica speciale, Hedy, diventata sorda come me da adulta, sebbene la nostra amicizia si componeva quasi esclusivamente di lettere e fax. Che sollievo parlare con lei! All’improvviso, non mi sentivo più sola nel mio silenzio! Col suo affetto incondizionato, mi ha aiutato tanto a voler ancora bene a me stessa e a chi mi sta intorno. Purtroppo, ora lei è morta per una malattia gravissima! Mi incitava a scrivere un racconto sulla mia vita, ma non sono mai riuscita, perché ero troppo confusa e disorientata. Grazie alla sua amicizia sono riuscita ad andare avanti e ad accorgermi che ero ancora viva dopotutto, e c’erano, ci sono, tante cose belle e occasioni che posso ancora apprezzare pure senza udito, come una gita, i fiori in primavera, un bel libro. Voglio essere felice, in onore di quella mia cara amica che, forse ora, come un angelo, mi sta spronando dicendomi “Adesso puoi farcela, Evy!” a scrivere il mio racconto.

Ho fatto anni di logopedia, scuola di lettura labiale, ma ancora non me la cavo molto bene, d’altronde vedo solo da un occhio. Chi vuole comunicare con me deve sempre parlarmi in luoghi ben illuminati e da vicino e parlare lentamente, scandendo le parole. Non serve a niente alzare la voce! La logopedista mi diceva di guardarmi allo specchio e imparare a leggere dalle mie labbra per riuscire a capire quelle degli altri, ma io non ho mai voluto ascoltarla. Non volevo guardare quella che ero diventata, troppo magra, brutta, e in più ho la paralisi del nervo facciale fin da piccola e cosa avrei potuto leggere dalle mie labbra se non capivo quelle degli altri? Questo metodo lo poteva suggerire a qualcun’altro, non a me!

Per la mia scarsa capacità di leggere dalle labbra, mi ritrovo spesso a dover dire ancora “sono sorda, non ho capito” a chi mi rivolge la parola e non mi conosce, per esempio, entrando in un negozio. I primi tempi mi vergognavo pure a dire che ero sorda e tiravo a indovinare quello che mi si comunicava, perché sorda voleva dire vecchia e scema. Però, tuttora non obbligo le persone a parlarmi lentamente per farmi comprendere, piuttosto mi faccio scrivere.

In alcuni casi, mia mamma mi fa da “traduttrice” nelle visite dallo psichiatra, o quando mi parla qualcuno in sua presenza che fatico a capire. Lei e i miei familiari li so comprendere nella lettura labiale, in quanto sanno parlarmi adeguatamente, li capisco tranne quando conversano fra loro in maniera illeggibile e, quindi, perdo la pazienza di botto! Bla bla bla non sopporto chi parla tanto! Mi paiono pesci in un acquario. Quando ciò succede, anche fuori dall’ambiente di famiglia, sono demoralizzata e mi sento tagliata fuori.

Fortunatamente, ho conosciuto da pochi anni Rossella, che è sorda completa come me, pur dalla nascita, e quando ci ritroviamo parliamo tantissimo, ci consoliamo un pò a vicenda. Ci estraniamo anche dal resto del mondo! Non riusciamo a moderare il tono di voce. Per esempio, siamo andate in gita al Castello Sforzesco e poi ancora a vedere altri musei e, ogni volta, non ci accorgevamo che attorno a noi c’era silenzio!

Nei primi anni bui, dopo che rimasi sorda, ero pure arrivata a scrivere una email nientemeno che all’Ordine degli avvocati di Milano, senza dirlo a nessuno (avevo cercato l’indirizzo su google),  per fare causa all’ospedale Besta, dove sono stata operata, sia a 5 anni che a 15 anni, perché incolpavo i medici di avermi fatto diventare sorda! che follia! Gli avvocati mi hanno anche risposto che avevano guardato la mia cartella clinica e appurato come i medici avessero fatto il possibile per salvarmi l’udito, ma che era stato inevitabile perderlo. In realtà, ora ne convengo,  un neurinoma sui nervi acustici causa sempre la perdita dell’udito. Mia mamma, quando ha saputo che avevo scritto, mi ha dato della matta, perché invece dovevo essere grata al Besta dove mi avevano operato perché se no sarei morta, ed erano venuti perfino dall’America per operarmi.

Ora cerco di vivere meglio che posso ogni giorno, gioendo del semplice fatto che sono viva, sebbene, a volte, sembra una lotta continua per non lasciarmi fagocitare dal silenzio che mi circonda. Nonostante tutto, sto bene. Posso dire che, la vita, mi ha ripagata di tante sofferenze subite del passato. Ma non posso impedirmi di pensare che se fossi rimasta udente, avrebbe seguito, altre vie, altri percorsi, diversi e più felici. Trascorro il tempo a leggere libri belli e se possibile non tristi, ho le mie amicizie virtuali e non, e le mie gatte, guardo dvd di documentari e quelli che riesco a vedere con i sottotitoli, vado al lavoro, faccio una passeggiata per andare a prendermi un gelato o bere una buona, calda cioccolata.

Evelina Cattaneo – 24 marzo 2012 – nw057

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