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Noi sordi non siamo una comunità…
Noi sordi non siamo una comunità
Sordo profondo nato negli anni Ottanta. Familiari udenti: Matteo!Matteo! In risposta, alzavo le spalle e aprivo i miei occhioni e fissavo il vuoto o gli occhi materni. Si, sono stato un piccolo sordomuto poiché la mia sordità è stata diagnosticata molto tardi, più o meno all’età di due anni e mezzo. Intuivo che i miei genitori volevano comunicare con me ma non sentivo completamente nulla. Di recente, ho letto molti articoli pubblicati dal “Corriere della Sera”, mi sono soffermato, in particolar modo, sull’articolo, Parlare con i segni, ora è una lingua, scritto da una prestigiosa firma del “Corriere”: Piattelli Palmarini. Il professor Piattelli Palmerini ci porta un dato importante: in tre suoi corsi avanzati c’erano due studenti sordi che seguivano regolarmente le sue lezioni, grazie alla professionalità di un interprete ASL (american sign language). Ma non c’è traccia dell’informazione se gli studenti sordi sono in grado di comunicare con tutti, se, ad esempio, possono chiedere spiegazioni al Professore durante l’orario di ricevimento senza l’aiuto di un interprete ASL.
Di fronte alla scoperta della mia sordità, il sogno dei miei genitori di vivere giorni sereni con il nuovo orsacchiotto di famiglia si è frantumato, quando il pediatra usò le chiavi dietro la mia testa e pronunciò la sentenza, in pochissimi secondi e seguirono giorni di grande incertezza, poiché in famiglia nessuno ha mai avuto esperienze legate in qualche modo alla sordità.
Prima città del mio lungo viaggio di speranza: Milano. Ricordo molto bene la piazza del Duomo, che ai miei occhi appariva infinitamente estesa; allora invasa da numerosi pennuti. A Milano, dopo un lungo viaggio, incontrammo l’allora massimo esponente dell’oralismo italiano: il dr. Massimo Del Bo. Fu un incontro molto importante per i miei genitori fondamentalmente per due ragioni. La prima ragione è che i miei capirono che la sordità è un deficit e non uno status antropologico, come alcuni sedicenti studiosi sostengono. La seconda: il sordo può acquisire le stesse competenze linguistiche degli udenti, a patto che vengano seguiti corretti protocolli riabilitativi.
Come prima visita della grande città Milano, ha un significato fortemente simbolico, poiché, nel 1880, si riunì il Congresso Internazionale di maestri di sordo-muti presieduto da Don Giulio Tarra, allora noto pedagogista. In tale Congresso fu presa una decisione che cambiò il destino dei sordi italiani: si escluse dall’educazione dei sordi il linguaggio gestuale privilegiando l’uso della parola. Persino il “Corriere della Sera” interpretò l’evento come una nuova fratellanza franco-italiana per il bene dei sordo-muti.
Fu sicuramente una decisione molto prematura, che non condivido del tutto. Non bisogna, però, negare che ci furono dei risultati che sorpresero gli stessi “riabilitatori”. Cito un caso: il sordo prussiano Francesco Saver, viaggiatore e legatore di libri, che si fece insegnare dall’abate Antonio Provolo il canto. Quando si accorse che cosa voleva da lui l’abate rispose: “E’ impossibile che io possa cantare, sono sordo”.
Si noti che un sordo può parlare bene perchè può sentire, ottimizzando la percezione acustica, elemento fondamentale nella comprensione e acquisizione di un linguaggio, e, se necessario, ottimizzando la lettura labbiale per acquisire informazioni visive. Protesizzazione e rieducazione della parola sono i pilastri dell’oralismo moderno: sfruttando questi principi in modo intelligente è possibile sviluppare nei bimbi sordi un linguaggio simile alla norma. In ogni caso, il linguaggio di un bimbo sordo dipende dalle caratteristiche dell’ambiente familiare: il bimbo sordo può avere entrambi i genitori sordi o udenti, oppure può avere un genitore sordo.
L’incontro di Milano segnò il mio destino. Convinse i miei genitori a scegliere la strada dell’oralismo puro e rifiutare definitivamente l’idea del mio sradicamento da legami affettivi mettendomi in qualche istituto per sordo-muti.
Sono convinto che se la protesizzazione da scarsi benefici, se l’impianto cocleare non è una scelta condivisa dai genitori, l’unica possibilità rimanente molto valida è la LIS, l’equivalente italiana all’ASL americana. Nel contesto scolastico, il corpo docente, in accordo con i genitori del bimbo sordo, deve stendere un progetto personalizzato per il bimbo, sulla base delle esigenze comunicative proprie del bimbo.
In un articolo del “Corriere”, sulle sperimentazioni di scuole bilingue cioè italiano e LIS, traspare l’idea che il bimbo sordo abbia l’assoluta necessità di un proprio insegnante madrelingua – come se appartenesse ad una etnia diversa – e debba frequentare il laboratorio LIS coordinato da un educatore sordo.
Questa visione distorta della sordità contraddice l’esperienza di migliaia di sordi, educati all’oralismo, e le diverse scelte di genitori udenti. In altre parole, si vuole convincere la società che il sordo debba vivere, secondo la concezione di Deafhood, la sordità come una condizione che esclude che debba essere curata come una patologia. Deafhood implica, inoltre, la piena consapevolezza di far parte di una cultura peculiare con propri valori di riferimento, luoghi di incontro, produzione letteria e, infine, una lingua: la LIS. Che la scuola di tutti non fornisca risposte adeguate all’alunno sordo è cosa molto nota; non è sufficiente assegnare un insegnante di sostegno ad un sordo oralista oppure un interprete LIS ad un sordo segnante o bilingue, ma è necessario far si che il sordo possa ricevere direttamente l’informazione senza intermediari. Per fare ciò, bisogna investire nella tecnologia.
Le persone sorde possono trarre dall’uso della tecnologia un grande vantaggio in tutti i contesti, in particolar modo nel contesto educativo e lavorativo. La tecnologia internet e le varie piattaforme on-line permettono di utilizzare approcci formativi basati sulla comunicazione e sull’apprendimento collaborativo: il docente fornisce il materiale didattico in formato digitale mentre comunica utilizzando servizi di messagistica. Il padre di Internet, Vinton Cerf, considera i servizi chat e di messagistica come strumenti significativi per sordi. Oltretutto, fu il primo, essendo sordastro dall’età di tredici anni, a convincere i sordi americani a utilizzare Internet.
Mentre frequentavo le scuole inferiori e superiori, ho sentito spesso la necessità di una didattica personalizzata, che tenesse conto dei miei limiti sensoriali. E’ incomprensibile, ad esempio, che uno studente sordo debba affrontare la prova del dettato ortografico. In tale prova non sono mai stato brillante. Oltretutto, mi sono mancati servizi, come ad esempio, la cura acustica delle aule o la resocontazione delle lezioni. Lo Stato italiano deve varare numerosi provvedimenti legislativi che promuovano il benessere sociale e professionale della persona sorda, senza alcuna discriminazione – circoscrivere la maggioranza delle persone alla comunità sorda e cultura sorda è discriminazione. Tra i quali, un provvedimento simile al 21st Century Communications And Video Accessibility Act firmato dal Presidente USA, Barack Obama, che pone regole che faciliteranno l’accesso alle attuali tecnologie da parte di milioni di disabili sensoriali, sordi e ciechi. E’ necessario, altresì, che vengano valorizzate tutte quelle figure professionali che compongono gruppi multidisciplinari, il cui intervento, attraverso un iter logopedico che può durare anni, consente ai bimbi sordi di parlare con qualunque persona. Si noti che, per quanto concerne gli impianti cocleari, dispositivi che raccolgono segnali sonori dall’esterno e li trasformano in impulsi nervosi scavalcando disabilità percettive, che consentono ai sordi profondi di sentire, sono poche le strutture di eccellenza che eseguono questo tipo di impianto e, ancora, sono sempre meno i fondi e alcuni di queste strutture rischiano di interrompere le proprie attività.
Torniamo all’articolo impegnativo scritto da Palmarini Piattinelli, in cui si parla anche della proposta legislativa: Disposizioni per la promozione della piena partecipazione delle persone sorde alla vita collettiva (pdl.4207). Si legge che il dottor Falcone, direttore ISTCCNR, denuncia, in riferimento alla nuova versione del testo legislativo, che “le persone sorde verrebbero fortemente penalizzate, in quanto risulterebbe messo in discussione il valore di identità che attribuiscono alla Lis”. Non è propriamente cosi. Molti sordi, in particolare i giovani, affermano che il sordo non appartiene al popolo silenzioso o ad una minoranza linguistica e culturale, perchè hanno imparato da piccoli a parlare. Oltretutto, la cultura delle persone sorde è quella del proprio paese, città e famiglia.
Il dottor Falcone afferma, inoltre, che “si promuove la ricerca solo nel campo della tecnologia biomedica e non si fa nessun riferimento alla ricerca linguistica, psicologica, neuropsicologica e pedagogica relativa alla sordità e in particolare alla Lis e al suo uso”. E’ bene che si sappia che l’Europa finanzia molti progetti di ricerca simili nel campo delle lingue dei segni; cito, ad esempio, il progetto “Unravelling the grammars of European sign languages: pathways to full citizenship of deaf signers and to the protection of their linguistic heritage” finanziato con una cifra pari a 28 milioni di euro. E’ necessario investire cifre importanti nella ricerca sulla sordità genetica; nel testo legislativo non è mai stato inserito un riferimento a questo tipo di ricerca. Studi di ricerca sulla sordità genetica possono portare allo sviluppo di interventi terapeutici nell’uomo.
L’autore dell’articolo, Piattelli Palmarini, ha interpellato un noto linguista, Noam Chomsky che afferma che “Ricerche scientifiche di enorme interesse, in oltre trent’anni, hanno dimostrato che le lingue dei segni sono sotto ogni aspetto identiche alle lingue parlate”; eppure alcuni esperti di linguistica affermano che “per i concetti più astratti sono necessarie le parole per dare loro un supporto che permette di comprenderli”. E molti interpreti ammettono che non è semplice ‘segnare’ i concetti astratti o politici.
Ciò che mi ha colpito di più dell’articolo del Piattelli Palmerini e di altri, in riferimento al provvedimento legislativo discusso, è la mancanza di una denuncia del fatto che il tema della prevenzione e cura della sordità, e della diagnosi precoce è stato messo in secondo piano. E addirittura, sono stati proposti degli emendamenti, poi fortunatamente ritirati, contro la diagnosi anche precoce: Al comma 1, sopprimere le parole: e garantisce ogni forma di prevenzione, diagnosi anche precoce e cura della sordità. Eppure, in Italia, tale diagnosi, nel 40% dei casi, non viene fatta. Lascio al lettore l’interpretazione politica di tali emendamenti.
E’ di buon auspicio che tra i sordi si abbassino i toni, si rifiuti il linguaggio dell’odio e del rancore. Solo così è possibile costruire una società migliore a beneficio di tutti. Personalmente, sono ottimista: le persone riflessive, acquisendo nuovi dettagli, possono evolvere il proprio pensiero, e sopratutto perdonare e farsi perdonare. Dedico un caloroso abbraccio alle giovani madri che hanno un bimbo sordo o hanno appena scoperto la sordità del proprio bimbo.
Fonte: notizie.radicali.it 10 ottobre 2011