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Anniversario Fortunato Teodorani

Ricorre il cinquantesimo anniversario della morte di Fortunato Teodorani, pittore nato a Cesena nel 1888. Non ho mai scritto articoli sul nonno, anche per evitare di farmi coinvolgere dalla componente sentimentale, che sicuramente esiste, in quanto gli ero molto legato. Per me è stato un nonno speciale.

Fatta questa doverosa premessa, mi vorrei occupare della sua figura e testimoniare alcuni aspetti, anche sconosciuti della sua opera, senza scivolare nella critica d’arte, di cui non mi occupo. Come è noto, il suo sordomutismo, in una famiglia povera, lo portò giovanissimo dalla strada all’Istituto Gualandi di Firenze, ove grazie al mecenatismo della principessa Strozzi-Centurione, potette studiare regolarmente. Di quegli anni e di quella esperienza, anche di pittura con il Maestro Giuseppe Cassioli, ha scritto un bel pezzo Pietro Castagnoli, in una pubblicazione curata dall’amico Orlando Piraccini, nel 1988. Un bel catalogo per una mostra voluta dall’Endas e dalla Amministrazione Comunale di Cesena, in occasione del centenario della nascita.

Inutile dire che il sordomutismo – con un eufemismo oggi si direbbe diversa abilità – condizionò pesantemente il suo ritorno a Cesena verso il 1915. La decisione poi di fare il pittore mi è sempre sembrata, per quegli anni e nella nostra Città, un atto eroico, di coraggio determinato dalla passione e al limite della follia. Eppure, come scrive  Romano Pieri, nel catalogo per la mostra del 1979, che segnò la riscoperta del pittore per la Città, questa condizione non gli impedì di sposarsi, avere due figli e una vita normale. Fra i numerosi materiali documentari, che in famiglia conserviamo, vi sono alcuni album con le foto, molto ordinate, dei dipinti da cavalletto che furono venduti.

Negli anni fra le due guerre la committenza a Cesena mi immagino facilmente quale potesse essere, e infatti i nomi sono pochi e ricorrenti. Si menzionano il notaio Fantini, con una veduta dall’Orto di Serravalle della Chiesa di Santa Cristina e il commendatore Calbi che gli commissionò un grande quadro delle quattro stagioni: una natura morta con i frutti della nostra campagna nei diversi periodi dell’anno. Anche le “Tavole Romagnole”, fra cui spicca quella realizzata per Aldo Casali, figurano fra i temi che maggiormente gli venivano richiesti. Il Grande Ristoratore, che gli fu amico, gli fece realizzare diversi dipinti del tema, per clienti che apprezzarono particolarmente quelle composizioni dei prodotti della nostra tavola. Per Casali realizzò anche dipinti con le bottiglie dell’albana e del sangiovese, con i tralci della vite, che per anni furono esposti nella taverna del ristorante.

Fra le tele con soggetto religioso figurano due dipinti d’altare commissionati dalla Curia (o meglio dalle parrocchie). Un grande S. Andrea per l’altare della Chiesa di Ruffio realizzato nel 1950, per volontà di don Egisto Barbanti, nella stessa chiesa dove nel 1927 aveva realizzato i medaglioni dei quattro Evangelisti, un soggetto ricorrente nelle opere murarie affrescate anche nella chiesa di S.Bartolo a Cesena e nella chiesa parrocchiale di Cattolica. Realizzò una seconda pala, presumibilmente agli inizi del 1940, raffigurante il Battesimo di Gesù con S.Giovanni Battista che fu collocata sull’altare del fonte battesimale della Chiesa di S.Agostino a Cesena. Negli anni precedenti il secondo conflitto mondiale realizzò per conto di don Giovanni Ravaglia una tela con colori a olio del Sacro Cuore, tuttora esposta nel Duomo di Cesena, nella  parete a sinistra rispetto all’ingresso principale.

A partire dagli anni venti, non avendo altre fonti di sostentamento, iniziò una intensa attività di decorazione degli edifici religiosi e civili in diverse zone della Regione e anche fuori. Da S.Luca a Bologna, dove affrescò la cupola della Chiesa, insieme al suo maestro Giuseppe Cassioli, alle numerose chiese della Val Marecchia e della Val Conca.

Nel 1999 il Comune di Cattolica e l’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia Romagna dedicarono a Fortunato una mostra, curata da Annamaria Bernucci e Orlando Piraccini, sull’arte sacra realizzata dal pittore in quelle zone: dalla chiesa di S.Pio V a Cattolica, alle chiese parrocchiali di S.Giovanni in Marignano, Montefiore, Tavoleto, Auditore, Saludecio e a Rimini nella chiesa di S.Nicolò al porto, che andò distrutta nel bombardamento del 1944. Quella mostra mise in evidenza anche un aspetto, che io ritengo fondamentale e originale della creatività del nonno: le “impressioni dal vero”, le numerose tavolette di legno che eseguiva mentre lavorava alle chiese. Quasi a volere dire che la decorazione e l’affresco erano il lavoro e le tavolette dei paesaggi dal vero la gioia della pittura, libera e non condizionata dalla committenza o dalla fatica. Su di esse annotava oltre al luogo, la data, a volte anche il momento della giornata e spesso, appunto, la dicitura impressione dal vero. Così accanto ai disegni preparatori, i bozzetti degli affreschi delle chiese, furono esposte di quelle località le visioni pittoriche del paesaggio, panorami agresti, scorci collinari,  vedute marine, in alcuni casi d’una freschezza e poeticità davvero incredibili.

Non a caso Antonio Del Guercio, nel suo “Suite” Cesenate per il volume sulle Arti della Storia di Cesena edita dalla Cassa di Risparmio, a proposito della pittura di Fortunato sottolinea come “riesca, nelle piccole dimensioni di tavolette e telette, a slargare la propria visione, a ‘sfondare’ verso un più libero ed effusivo intendimento della visione, appunto superando in questi casi il limite vedutistico.”

Ritengo, a questo proposito, che sarebbe utile ricominciare ad indagare oggi, da parte di chi ha gli strumenti per farlo, la pittura del primo novecento a Cesena. E questo anche nella prospettiva di quanto è accaduto poi nella seconda parte del secolo, con il formarsi di quella “Scuola Cesenate”, oggi così enfatizzata nella considerazione locale, ma che meriterebbe d’essere liberata, io credo,  dal contingente e dai luoghi comuni della leggenda metropolitana per essere  efficacemente analizzata nel quadro più generale della vicenda figurativa italiana del secondo novecento.

Si tratta, insomma, di riprendere il filo di un “percorso” di ricerca e di programma espositivo che era stato avviato tra la fine degli anni settanta e ottanta, dall’Amministrazione Comunale di Cesena, con l’allora assessore alla cultura Roberto Casalini. In fondo, iniziative come quelle di allora di riunire i dipinti delle diverse collezioni pubbliche in una unica pinacoteca e di presentare alla Città  singoli artisti cesenati, da Gianfanti a Bagioli, da Barbieri a Teodorani, da Severi a Malmerendi, hanno certamente contribuito a far crescere la conoscenza su un periodo così dimenticato della nostra storia artistica. In quegli anni le mostre furono accompagnate da piccoli cataloghi realizzati con modesti mezzi finanziari, in bianco e nero, riuniti in una collana dal titolo “Cesena nella sua storia e nella sua cultura” che costituisce ancora la base per lo studio dei pittori cesenati del novecento.

Senza nulla togliere alla contemporaneità, che è stata anch’ essa esplorata da importanti critici come Raffaele De Grada, Antonio Del Guercio ed altri, ciò che ancora va pienamente indagato è il rapporto che lega fra loro i pittori cesenati della prima parte del secolo e quelli che hanno operato nel contesto novecentesco più recente.

La questione è in primo luogo quella dello stile, e forse proprio scoprendo questo filo continuo che collega fra loro le diverse generazioni dei creativi cesenati, si potrà anche pienamente riconoscere il vero lascito di Fortunato Teodorani, con il suo alto saper fare e tutto il vero incanto della sua pittura.

Giampiero Teodorani

Visualizza: Alcune figure dipinte da Teodorani


Fortunato Teodorani nasce a Cesena il 2 Aprile 1888 e qui muore il 26 Aprile 1960. Il funerale si tiene nella Chiesa Parrocchiale di S. Domenico, nel corso della cerimonia l’amico Mons. Leo Bagnoli commemora Fortunato con queste parole:

Non vedremo più il Suo volto buono e pensoso, la Sua figura alta, grave e serena. Con la tranquillità dei Giusti, nel conforto di una Fede attinta fin da fanciullo alle pure fonti di una sana educazione e ognora apertamente professata, ha chiuso la Sua meritevole giornata terrena ed è entrato per sempre nella Pace di Dio.

Ora con accorato e affettuosissimo rimpianto i Figli e i parenti tutti ne ricordano la rettitudine della vita, la limpida semplicità del carattere, l’amoroso e generoso attaccamento alla famiglia, la cristiana rassegnazione nelle sofferenze lungamente provate, l’incomparabile esempio di una esistenza laboriosa e intemerata !

La Sua dolcissima anima di artista, affinata alla scuola di maestri sommi, interpretò coi colori e col pennello le sublimi bellezze della natura e con riconosciuta abilità ritrasse immagini e figure celesti e attraverso a indefesse fatiche lasciò cicli pittorici di notevole valore in innumerevoli Sacri Templi della Romagna e d’Italia.

All’Arte che amava con passione e fu ragione della Sua vita, restano oggi legati il suo Nome e le sue opere.

“EFFATA’”: Alle radici di una vocazione
di Pietro Castagnoli

Queste brevi note hanno l’intento di cogliere le motivazioni d’una vocazione artistica singolare e d’un atteggiamento costante in una vita segnata da una creatività di produzione multiforme. Si tratta in effetti d’una vastissima produzione che comprende pittura e scultura, affresco e decorazione e si innesta, alle soglie del Novecento, nell’intricato movimento culturale che nella Bella Epoque ha i tratti dello stilnovismo liberty o le vaghezze di un preraffaellismo falso-primitivo alla ricerca d’una innocenza perduta e naturalmente mai più ritrovata.

C’è in Fortunato Teodorani una felice contaminazione di aspirazioni ad un mondo dal respiro più arioso e terso, classicamente composto, con un atteggiamento estatico ed evocatore di altre dimensioni della vita spirituale. E’ il clima che permea la cultura di inizio secolo, prima della tragedia d’una guerra che manderà in frantumi i cieli tersi dei sogni d’arte e di bellezza. Dopo, saranno evocati i mostri del surreale e dell’inconscio. Questo stile d’arte sarà filtrato dalla personalità di Teodorani tra stupori e trasalimenti, che penetrando nella realtà cercheranno un mondo più lontano.

Il trauma che lo colpisce a quattro anni lo esilia dal mondo della parola e dei suoni, lo distacca dal mondo della normalità, ma gli acuisce la sua capacità “visionaria” di comunicazione con sé e con gli altri. I suoi dialoghi, per una vita, sono gli schizzi e i bozzetti nei taccuini, i frammenti di suoni e parole mai ascoltati e pronunciati.

Il calvario del reinserimento inizia a Catanzaro e si completa all’Istituto “Gualandi” di Firenze.

In questo contesto di estraneazione e di emarginazione si definisce la sua identità personale. Al fondo c’è sempre la speranza di un ritorno alla normalità, pur nel conforto degli affetti familiari che non gli sono mai mancati; ma la pena per la sua condizione di “infelice”, termine che allora si attribuiva ai menomati, non gli veniva mai meno.

A scorrere i quadernetti della scuola elementare, scritti in bella scrittura, in un ordine e pulizia da età vittoriana, si può notare come in quella benemerita scuola di rieducazione fosse primaria l’urgenza del reinserimento in una normalità di vita. Sono quaderni di terza elementare per “insegnare la lingua ai sordomuti con la parola e con i metodi tradizionali usati nella scuola”. Colpiscono le prescrizioni minuziose ed ordinate di comportamento e di igiene, al limite dell’ossessione, forse per le esigenze della vita di collegio. Ci sono dialoghi nei saggi annuali, che riproducono dal vivo la situazione di questi “infelici”.

I saggi ginnici finali sono molto impegnativi e non solo coreografici, quasi a voler compensare con un’intensa attività motoria la condizione di disagio nella comunicazione. Si vive in un clima di rigore improntato a valori deamicisiani. In pieno 1913 si celebra la conquista della Libia anche all’interno dell’Istituto Gualandi, in occasione dell’onomastico della benefattrice Antonietta Strozzi Centurione (la “mamma Principessa”, come si legge nell’opuscolo in versi che riporta il programma ufficiale del trattenimento). Il quadro plastico della rappresentazione è ideato dal professor Giuseppe Cassioli, maestro di pittura nell’Istituto e che avrà un grande ascendente nella vita di Fortunato. E’ figlio d’arte dell’Amos Cassioli famoso per i quadri di ricostruzione storica dell’epoca rinascimentale, tipico di un periodo in cui gli epigoni del romanzo storico attingevano all’età dei comuni e ai miti di un passato eroico.

Giuseppe Cassioli si era distinto per l’esposizione dei suoi quadri al Salone di Parigi nel 1885-86, per le decorazioni di cattedrali, anche in Perù, e come scultore aveva scolpito le imposte in bronzo della facciata della cattedrale di Firenze, quelle della porta a destra. Aveva eseguito anche decorazioni a Bologna, a San Luca, ed era quindi oltre che maestro autorevole un passaporto prezioso per le commissioni di lavori a Fortunato che si varrà spesso delle sue segnalazioni.

Fortunato nel 1913 ha 25 anni (il “nostro compagno maggiore”, viene affettuosamente chiamato nella presentazione) ed ha dipinto per l’occasione in un paravento la scena dello sbarco delle “nostre truppe” alla Giuliana, presso Bengasi. E’ la retorica per il bel gesto, che avrà poi le sue celebrazioni nelle pagine illustrate della “Domenica” dal Beltrame. E’ l’epopea del Tripoli “bel suol d’amore” di un nazionalismo socialistoide, quello della “grande proletaria s’è mossa”, che penetra anche tra le mura dell’Istituto Gualandi e non poteva essere diversamente: “Esso rappresenta l’episodio più glorioso della guerra italo-turca. Su quell’epica spiaggia fu versato il primo sangue italiano sparso in Libia…”. La preoccupazione di tenersi al sicuro tra l’imperversare delle polemiche anticolonialistiche e pacifiste, e alla vigilia di ben altre tempeste, penetrava così anche tra le mura del Collegio dei piccoli sordomuti (“Non eravamo noi bambini infelici, abbandonati dalla società? La Mamma Principessa, mandata dalla Provvidenza…”).

Questo è il clima in cui si forma Fortunato, ma a guardare le centinaia di cartoline illustrate raccolte e conservate allora e poi, catalogate con cura in tanti album nel corso degli anni, documento prezioso del corso d’una vita, ma anche del gusto d’un’epoca, in una prevalenza liberty o dèco, ritorna spesso il motivo religioso, sintomo di una predilezione di temi che avranno tanta parte nello svolgimento della sua opera. Sono molti gli appunti e gli schizzi di madonne e profeti, in cui parla lo sguardo o il gesto, i particolari di raffinati simbolismi arabescati in aeree volute per le cornici e le inquadrature delle sue volte. Sono trasfigurazioni che nascono sempre da un contatto diretto con la realtà, dalla viva osservazione. E’ la ricerca scrupolosa del grande mestiere, coltivata dai grandi maestri, ma che in Fortunato assume sempre la funzione di un contatto preciso con l’altro, di una comunicazione visiva.

Nel 1919, a Fortunato è offerta la possibilità di fare la copia di un quadro del Saltini, che serve a consacrare il piccolo cosmo dei sordomuti e proprio in occasione delle nozze d’argento del Padre Ferdinando Buoni, superiore generale della piccola missione dei sordomuti. Il quadro rappresenta Gesù che “apre l’udito e scioglie la lingua del sordomuto”.

“Effeta” è il titolo del quadro. In aramaico “Effatà” vuol dire “Apriti”, come è nel Vangelo di Marco per il racconto del miracolo della guarigione del sordomuto. “Un miracolo come quello sarebbe per noi tanto opportuno”, è il commento della presentazione della cerimonia in opuscolo, con l’aggiunta: “Una copia del miglior quadro fatto finora su questo miracolo”. C’è una foto in cui Fortunato è presentato sullo sfondo della scuola di disegno, con gli alunni chini sui tavoli di lavoro, ed egli in piedi sul fondo, successore del maestro Cassioli, con uno sguardo severo, compreso nel suo compito. Il tema del sordomuto ritornerà ancora in un altro quadro, che resta non solo uno dei suoi migliori, ma la rappresentazione diretta del suo dramma di vita: “San Francesco di Sales col sordomuto Martino”. In questo caso, il sordomuto non è miracolato, ma è ammesso ai sacramenti, come gli altri cristiani, eguale davanti a Dio, anche se diverso tra gli uomini.

Il miracolo del sordomuto è trattato ripetutamente nella sua opera, invocazione ad uscire da una solitudine d’angoscia. Ci sono silenzi che avvicinano di più all’Assoluto, ma quando sono una scelta e non una condanna. Eppure, lo sforzo artistico suo è teso a cogliere questo momento di liberazione in una composta serenità, dominata dalla figura del Redentore. E un’invocazione che resta la costante di una vita. D’altra parte la grande arte è esorcismo di fronte all’ossessione diabolica dei mostri del male, o preghiera per uscire da una condizione umile di esilio e di condanna.

E’ questo il compito che Fortunato cerca di assolvere in una vita di tormento artistico. Non si spiegherebbe altrimenti questa sua dedizione alla decorazione delle Chiese nella sua città ed in tantissime altre, fino a Roma. E’ un’attività artistica che gli consente di mantenere sé e la sua famiglia, senza dedicarsi ad altri lavori, ma che ha la sua ispirazione in questo profondo atteggiamento religioso, di chi cerca un legame e trova serenità in una volta affrescata di luce di una vita inondata da una presenza superiore. Nelle sue volte affrescate s’incontrano la devozione popolare e l’estasi, la sublimazione della pena e dell’esilio in hac lacrimarum valle. E’ un Teodorani da sottolineare con forza, oltre le “tavole romagnole” e le “maternità”, o i volti di una galleria che appartiene a una storia che incomincia a raccontare se stessa mano a mano che ce la lasciamo dietro alle spalle, sempre più lontana.

Bibliografia di Riferimento

[1]. Pro Mutis, Bollettino mensile dell’Istituto Gualandi, a. IV, n. 4, Aprile 1929, pp. 34-35.
[2]. Catalogo della II Esposizione nazionale dell’Arte del Paesaggio, Mostra Biennale del paesaggio italico, Bologna, primavera 1927.
[3]. Pietro Vaenti, Cimitero urbano di Cesena, catalogo delle opere d’arte, a cura dell’Amministrazione Comunale di Cesena, Cesena 1970.
[4]. Fortunato Teodorani (Cesena 1888-1960) nel clima Art-Dèco, di Romano Pieri, con uno scritto di Orlando Piraccini e una nota di Roberto Casalini, Cesena 1979.
[5]. Orlando Piraccini, Repertorio degli artisti cesenati dal Quattrocento agli inizi del Novecento, in “Studi Romagnoli”, XXX, 1979, pp. 345-346.
[6]. Ceramica a Cesena (Fortunato Teodorani, Leonardo Castellani, Giannetto Malmerendi, Mario Morigi), Cesena, Palazo del Ridotto, 23 aprile – 20 maggio 1988, a cura di Orlando Piraccini, opuscolo della mostra, 1988.
[7]. Fortunato Teodorani (Cesena 1988-1960) nel centenario della nascita, a cura di Orlando Piraccini, Cesena, 1988.
[8]. Carlo Valentini, TG3 RAI (15.11.88) EMILIA ROMAGNA, in occasione della mostra Fortunato Teodorani nel Centenario della Nascita, Palazzo del Ridotto, Cesena 5-27 Novembre 1988.
[9]. Enrico Guidi, Fortunato Teodorani, artista romagnolo di grande versatilità, in “La Piê” N° 2 Marzo 1989, Forlì.
[10]. Mare dipinto, mostra di Fortunato Teodorani, Osvaldo Piraccini, a cura di Orlando Piraccini, Ravenna, il Monogramma, 1989.
[11]. Cesena, di Riccardo Domenichini, Antonella Menghi, Alberto Severi. Rimini, Maggioli, 1991, pp. 52, 80, 107, 108, 124.
[12]. Soggetto: Natura morta, Teodorani, Malmerendi, Morigi, Piraccini, Andreucci, Pasini, Silvano, promosso da Endas Cesena, Cesena, 1994.
[13]. Pier Giorgio Pasini, Fra Romagna e Marche in “Fernando Mariotti (1891-1969)” a cura di A. Bernucci, Cattolica, 1995.
[14]. Cesena dipinta, scorci e vedute. Fortunato Teodorani, Giordano Severi, Mario Morigi, a cura di Orlando Piraccini, promosso da Endas, Cesena, 1996.
[15]. Pier Giorgio Pasini, Arte in Valconca, dal Barocco al Novecento, Milano, Amilcare Pizzi, 1997, p. 103.
[16]. Lida Teodorani, Fortunato Teodorani e le impressioni della realtà, in “NonSoloPasta Magazine” N° 2, Febbraio 1997, Miami-USA.
[17]. Loretta Rocchi, Quando c’era il prete architetto, in “Il Ponte”, 19 ottobre 1997.
[18]. Orlando Piraccini, Antonio Del Guercio, in Storia di Cesena, Le Arti, V, Rimini, Ghigi, 1998, pp. 128-129, 141-142, 148, 193, 201.
[19]. Fortunato Teodorani: Arte sacra e Impressioni dal Vero, Cattolica, Galleria S. Croce, 1998, opuscolo a cura di Anna Maria Bernucci.
[20]. Carlo Valentini, TG3 RAI (19.2.99), servizio sulla mostra.
[21]. Pittura in Romagna – Aspetti e Figure del Novecento, a cura di Claudio Spadoni. Ed. Il Vicolo, Cesena, 2001.

A cura di Franco Zatini – nw010 2010

Visualizza l’articolo su L’indimenticabile sordo Fortunato Teodorani a cura della Storia dei Sordi

Visualizza l’articolo su “A 50 anni dalla morte di Fortunato Teodorani, pittore e decoratore reso sordomuto dalla malattia” di Enrico Guidi

Fortunato Teodorani 1888 - 1960 Storia dei Sordi

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