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La solidarietà sociale è segno di progresso (Newsletter della Storia dei Sordi n.746 del 25 novembre 2009)
La solidarietà sociale è segno di progresso. Il prof. Antonio Russo, docente del metodo Malossi presso la sede dell’U.I.C. di Sant’Anastasia, con questo contributo illustra e chiarisce il delicato ruolo che svolgono nella società civile i sordociechi.
Mi è stato chiesto di definire in modo semplice le figure umane e sociali del cieco e sordo civile; cercherò di farlo, ma bisognerebbe riflettere anche da un punto di vista storico per poterci capire. Non sarebbe giusto celebrarci, ma il concetto di sordo e cieco civile va riferito forse alle varie guerre che misero in primo piano i mutilati e gli invalidi dei diversi conflitti. Che differenza ci sarebbe tra un sordo ed un cieco che abbia contratto determinate patologie per ragioni diverse da chi lo è diventato per i noti fatti bellici?
Nessuna, e se la collettività affronta i problemi legati ai bisogni di qualsiasi disabilità, diventa più matura come presa di coscienza se se ne fa carico. Parliamo di quando i ciechi furono consapevoli della loro situazione umana e sociale, possiamo ricordare che la marcia del dolore, pose alla comunità nazionale ed al governo di allora i problemi legati ai bisogni di noi privi di vista, fissando come caposaldo delle nostre richieste l’effettiva integrazione dei non vedenti nella famiglia, nella scuola e nel lavoro, come fatto di vita e presenza attiva per dire la nostra in ogni campo. Il dolore porta inevitabilmente alla solidarietà, da Firenze a Roma, tanti di noi a piedi incontrarono le istituzioni, le quali ci accolsero con ostile rancore, ci fu una repressione anche forte, ma il seme venne gettato.
Il governo, con burocratica attenzione, dette qualche risposta, inadeguata certamente, ma efficace in quel momento storico. Fu creata l’opera nazionale ciechi civili, la quale doveva dirimere le questioni legate a noi non vedenti, anche dal punto di vista economico. Con quella istituzione le prime pensioni venivano erogate col contagocce e non facevano altro che acuire il disagio dei molti. Ad un dato momento, il problema assistenziale sembrò penalizzare seriamente tutti i non vedenti, che in gran parte vivevano in istituti speciali che, se da un lato davano la possibilità di entrare nella vita sociale ricevendo una educazione ed una riabilitazione di base, dall’altro non potevano dare vere risposte al bisogno di lavorare di tanti di noi.
La lungimiranza e la capacità dei dirigenti dell’Unione Italiana dei Ciechi di allora seppe trarre i non
vedenti italiani dalla inevitabile emarginazione di fatto, rivendicando per essi, l’assistenza economica quale supporto necessario per affrontare autonomamente le difficoltà legate alla minorazione che sussistono da sempre; fu richiesto altresì allo Stato di affiancare a questi servizi la
possibilità per i ciechi di istruirsi come tutti, di avviarsi al lavoro di tutti nella ricerca di professioni adatte, ottenendo con leggi mirate la pari dignità ed i diritti nel lavoro di qualunque cittadino di un Paese libero e democratico che si rifà alla sua inalterabile Costituzione.
Stesso discorso potrebbe farsi per i sordi, i quali si sono inseriti nel mondo del lavoro in modo valido, mantenendo tuttavia come i ciechi una salda identità di vita e di categoria; quando lo Stato istituì anche per loro i trattamenti economici specifici atti al superamento delle difficoltà legate alla comunicazione, i sordi si sono imposti come parte attiva della società. Per i ciechi e per i sordi viene favorita una sana integrazione ad ogni livello, ma i fatti di vita molto spesso non si rifanno ai principi da me sommariamente esposti. Su questo dovremmo discutere a lungo, ma non è questa la sede adatta.
Mi basti dire che i sordociechi, quando la società prendeva coscienza delle diverse minorazioni, venivano considerati come insufficienti mentali e vivevano in manicomi, o se le cose andavano discretamente, venivano ospitati negli istituti per non vedenti, dove erano istruiti e imparavano a lavorare come artigiani. Abbiamo tante volte parlato di Eugenio Malossi, ma io vorrei ricordare anche Franco Parma, del quale ero amico, a Napoli lavorava quale operaio alla allora Italsider come tornitore di legno e metalli; tenendo conto di queste belle eccezioni e pensando alla nostra cara Sabina Santilli, noi sordociechi siamo per decenni stati posti ai margini del vivere, nessuno quasi ci conosce, e la maggior parte di chi ci incontra si domanda con stupore, o con pietà dolorosa, come si possa affrontare una condizione quale è la nostra: lo si può e lo si deve fare in nome della civiltà che aiuta sempre i meno fortunati.
Sono contento di sapere che la legge che riconosce la sordocecità come disabilità unica e specifica sia stata approvata dal Senato della nostra Repubblica all’unanimità, tutti speriamo che la Camera dei deputati voglia onorare le nostre legittime attese, dando forza giuridica ai nostri diritti. Ciechi civili, sordi civili, sordociechi civili, in una società civile dove tutti partecipano al bene comune, hanno saputo e sapranno in ogni tempo e modalità di vita riaffermare la loro dignità di persone nel rispetto e nella diffusione di un valore unico del quale oggi si avverte una strisciante mancanza: la solidarietà sociale come segno di progresso nel tempo che in nome della pace fra i popoli, cerca di passare dalla cronaca quotidiana alla storia di una umanità più consapevole.
(Fonte foto: Rete Internet)
Antonio Russo
Insegnante del metodo Malossi presso la sede dell’U.I.C. di Sant’Anastasia.
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Newsletter della Storia dei Sordi n.746 del 25 novembre 2009