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Sordità: pregiudizio e disabilità condivisa (Newsletter della Storia dei Sordi n. 651 del 20 febbraio 2009)
Sordità: pregiudizio e disabilità condivisa
Chi di noi non si è mai chiesto ,almeno una volta, come sarebbe stata la propria vita se fossimo nati privi dell’udito o della vista? Assolutamente impossibile per noi udenti rispondere a questa domanda. La sordità è un universo estraneo per noi che viviamo in un “bagno sonoro” fin dalla nascita e attorno al quale costruiamo tutto il nostro mondo comunicativo. Questo significa forse che le persone sorde non abbiano una ricchezza di espressività e modo di comunicare? Sfortunatamente , siamo noi udenti ad arrecare molta più sofferenza (di quanta già non ne ricevano) alle persone sorde. Il problema è che la maggior parte di noi percepisce il sordo unicamente attraverso la sua mancanza di udito. E’ un problema che ha origine nei secoli passati e che , ancora oggi , fa sì che il sordo sia vittima di pregiudizio.
Il pregiudizio.
Il bambino nato sordo mette in crisi tutto l’ambiente che lo circonda (famiglia , medici , scuola…) poiché siamo abituati a pensare che verbo e pensiero siano indissolubilmente legati. Fu Platone il primo a marcare questo concetto quando sentenziò che il termine “logos” significava sia “pensiero” che “parola”. Già da quel periodo , quindi , il bambino sordo , privato delle parole vocali , diventa vittima di esclusione sociale. Nell’antichità, i sordi erano esiliati, colpiti da maledizioni celesti e spossessati dei loro diritti civili . Aristotele li aveva esclusi da qualsiasi partecipazione alle conoscenze . Ancora fino al XVIII secolo i sordi erano considerati un disonore per la famiglia nella quale nascevano ed è per questo che venivano segregati in conventi o qualche istituto sconosciuto.
Ai giorni nostri, i pregiudizi sui sordi non sono più così evidenti ma questo non significa che non ci siano più. Possono continuare a persistere in modo meno perentorio, senza essere meno vivi. E’ forse questo il motivo per cui molti professionisti insistono nel voler insegnare l’oralismo ai loro piccoli pazienti sordi . Questa insistenza nel volere che i sordi parlino ad ogni costo ci deve far riflettere su una questione che pochi ancora considerano : la sordità è una disabilità condivisa a differenza della cecità e della disabilità fisica .Che cosa vuol dire questo? Bene , non si diventa né ciechi né paralizzati di fronte ad una persona che presenta queste disabilità perchè riusciamo agevolmente ad accompagnare un cieco e a guidare un paralizzato in carrozzina , ossia sopperiamo a queste disabilità con la nostra capacità di vedere e di camminare ma come possiamo parlare al posto di un sordo? Ecco come , quindi , anche noi diventiamo sordi davanti ad un sordo perchè il canale comunicativo è interrotto e non riusciamo a capire la persona che si rivolge a noi con il suo particolare modo di comunicare . Un esempio per tutti : molti sordi si rammaricano del fatto che gli udenti non si rivolgano a loro direttamente per discutere di un acquisto o semplicemente per dare informazioni ma scelgano sempre di avvalersi dell’eventuale accompagnatore udente della persona sorda in questione. In realtà non si tratta di malafede della persona udente ma è il processo di comunicazione che è falsato e pone i due interlocutori in un imbarazzo condiviso . Questo è dovuto alla difficoltà di capire la parola della persona sorda . In più , la persona udente perde l’uso facile e naturale
della sua parola nella misura in cui questa è difficilmente decifrabile dal suo interlocutore sordo . La persona udente è allora , anch’essa , messa in una situazione scomoda e dolorosa , quella di non poter assicurare la comprensione dei propri atti di parola che possono non venire recepiti ed essere male interpretati dalla persona sorda che ne tenta la decifrazione . La persona udente ha allora la sgradevole impressione di aver compiuto un atto fuori posto e inadatto . Questa situazione gli è difficilmente sopportabile , essendo abituata ad una comunicazione agevole , stabilita nel benessere di un facile scambio… Si capisce allora come , da parte dell’udente , sia difficile avere un approccio obiettivo con il bambino e con la sordità . Espressioni entrate nel linguaggio corrente testimoniano questa mancanza di oggettività ; come l’espressione “dialogo tra sordi” che sembra ributtare tutto il problema della comunicazione sulle persone sorde , quando invece si situa a livello del dialogo “fra sordi ed udenti” , infatti , i dialoghi fra sordi, sono altrettanto efficaci dei nostri dialoghi fra udenti . I pregiudizi nei confronti della persona sorda sembrano dunque avere le loro radici in queste difficoltà di comunicazione tra udenti e sordi . La condivisione della minorazione dell’udito , che si “impone” alla persona udente , rende quest’ultima poco incline ad una reale accettazione della
persona sorda , poiché si ritrova presa , a sua insaputa , in una penosa situazione di cattiva comunicazione , situazione nei confronti della quale si può avere solo un atteggiamento di
rifiuto . Ora , dal rifiuto di una situazione al rifiuto della persona che ne è all’origine , il passo è breve . In effetti , nella nostra società del XXI secolo la persona sorda è molto male accettata : prova ne è la poca comunicazione esistente tra sordi ed udenti . Così alcuni professionisti che si occupano di bambini sordi rifiutano qualsiasi lavoro in collaborazione con adulti sordi e si difendono da qualsiasi scambio in profondità con questi ultimi , poiché pensano che il bambino sordo , che hanno in carico , diventerà “come” un udente , perfettamente integrato nella società udente . Questi professionisti si fanno allora un dovere di tenere lontani i genitori udenti dei bambini sordi da qualsiasi incontro con adulti sordi ,che vengono loro , in qualche modo , tenuti nascosti.
Giustificano il loro comportamento con il seguente ragionamento : “ Già è difficile scoprire che il proprio bambino è sordo , non aggiungiamo a questa prova anche quella di incontrare adulti sordi : costoro sono i bambini sordi di ieri , che non hanno potuto approfittare degli ultimi progressi della tecnica “ . Per questi professionisti , i bambini sordi di oggi diventeranno adulti “ come gli altri “ , eliminando così ogni differenza . La sordità viene negata , nonostante le ingiunzioni delle persone interessate che vogliono essere riconosciute come persone sorde e non come persone ibride. Ma la loro voce non si fa sentire . Il bambino sordo viene allora allevato nella negazione della sua minorazione e nell’obbligo di comportarsi “come” un bambino udente . Non è accettato ed amato se non a questa condizione : che si comporti come se non fosse sordo . Questa filosofia educativa comporta dunque una perfetta separazione tra i bambini sordi e gli adulti sordi dei quali si vuole ignorare perfino l’esistenza . Ma come conoscere un bambino , qualunque sia , se non si può immaginare il suo divenire? La conoscenza degli adulti sordi ci sembra fondamentale per scoprire il bambino sordo nella sua realtà di vita . Misconoscere gli adulti sordi porta a disconoscere i bambini sordi. Sembra che questo misconoscere gli adulti sordi sia un modo per gli udenti , di sottrarsi alla condivisione della minorazione che , per loro , è troppo pesante da sopportare. La premura dei professionisti di “far parlare” i sordi deriva spesso da questo atteggiamento , che consiste nel negare la sordità perseguendo l’illusione che , una volta che il sordo parlerà localmente, non sarà più un interlocutore che disturba , pur sapendo che , a livello della parola vocale , un sordo non parlerà mai “come noi” , essendo interrotto il canale uditivo . Se questa tendenza ad occultare la realtà della sordità porta vantaggi alle persone udenti , è però decisamente nociva nei confronti delle persone sorde che non sono né riconosciute , né accettate nella loro propria esistenza . E si parla di inclusione sociale di persone alle quali non si è dato neppure il diritto di essere ciò che sono : sordi . Si capisce allora quanto esse possano soffrire della reale mancanza di scambi e di contatti , all’interno stesso della nostra società che si rifiuta di vederle nella loro realtà di vita . E’ riconosciuto che la grande maggioranza dei sordi è confinata in impieghi professionali subalterni , quando le loro possibilità intellettuali sono , in partenza , uguali a quelle degli udenti . I sordi , separati in profondità da una armoniosa comunicazione con gli udenti , soffrono di un reale handicap culturale , alla stregua delle minoranze immigrate che occupano , anch’esse, impieghi decisamente inferiori . Negare la sordità ha dunque per conseguenza il far sorgere una grave privazione culturale : un fardello più pesante da sopportare per la persona sorda ma che non pesa più su quella udente , dispensata così da una reale collaborazione con la persona sorda . Un altro approccio alla sordità consiste nel non fuggire da questa minorazione ma nel riconoscerla, accettando di vedere le implicazioniche comporta nelle nostre vite di udenti , se ci impegnamo in un reale scambio con i sordi , trattandoli come interlocutori a tutti gli effetti . Si tratta dunque di superare il nostro sentimento di “troppo grande frustrazione” al fine di entrare nell’universo della sordità. Allora, ci lasceremo disturbare nelle nostre abitudini comunicative e nelle nostre false certezze rassicuranti. Il nostro sentimento di frustrazione farà progressivamente spazio ad un sentimento di ammirazione di fronte a ciò che i sordi possono farci scoprire su di loro e su noi stessi, in un incontro divenuto veramente reale.
E’ soltanto accettando di diventare “sordi” con i sordi , mettendoci alla loro scuola, che diventiamo capaci di farli entrare nel nostro mondo di udenti e di far loro condividere tutte le nostre ricchezze culturali, dopo aver scoperto le loro , che sono immense. Conoscendolo nella realtà della sua vita e della sua parola, scopriremo finalmente come i pregiudizi nei
suoi confronti siano senza fondamento.
Valeria Russo
Collaboratrice ENS e coordinatrice corsi LIS
Fonte: Canale50.tv
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Newsletter della Storia dei Sordi n. 651 del 20 febbraio 2009