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Comunicare. La parola ai sordi (Newsletter della Storia dei Sordi n. 589 del 20 novembre 2008)

Comunicare. La parola ai sordi di Isotta Cuccodoro

Lingue dei segni, oralismo, logopedia: diversi percorsi riabilitativi che sostengono, in modo diverso, la comunicazione delle persone sorde.

Esiste un silenzio particolare, è il silenzio che conoscono solo i sordi. E la complessità di questa condizione ci piace ritenerla più una diversità che un handicap, più un orizzonte alternativo che una limitazione.

Il pensiero, l’immagine
Noi tutti cominciamo da bambini a pensare per immagini, cominciamo ad organizzare il nostro esperire in serie articolate di immagini. Il mondo dell’immaginario si evolve in seguito ad una particolare capacità di elaborazione percettivo-ideativa del bambino secondo cui esperienze in un dato campo sensoriale, ad esempio acustico, si trasmettono alla gestualità, al movimento, integrandosi così in figurazioni complesse.

È così che sorge il simbolo linguistico; è proprio laddove esiste un simbolo, infatti, che nasce il pensiero ed il linguaggio. Il simbolo stesso è rappresentativo di uno stato di conoscenza ed è oggettivamente distinto dal pensiero, è un evento interno che viene sperimentato come distinto dalla persona che pensa. Se non si possiedono simboli, non si possono fissare e combinare le idee e diventa impossibile anche solo scoprire la base ed il motivo per pensare.

I sordi non hanno immagini uditive, non hanno l’idea del suono delle parole, di una corrispondenza suono-significato. Quello che è essenzialmente un fenomeno uditivo deve essere padroneggiato e controllato con mezzi non uditivi. Essi devono imparare a parlare senza l’aiuto di alcuna sensazione o ricordo sonoro attraverso gli altri sensi: la vista, il tatto, la percezione delle vibrazioni, la cinestesia.

Percorsi diversi
L’educazione del bambino sordo al linguaggio quindi si pone diversi percorsi riabilitativi: il metodo oralistico, il metodo misto o bimodale, l’educazione bilingue.

L’oralismo punta sia sull’allenamento acustico, per aiutare il bambino sordo ad utilizzare al massimo i suoi residui uditivi, sia sul potenziamento della lettura labiale, su cui si basa la comunicazione. Questo metodo inoltre privilegia, nell’educazione alla lingua parlata e scritta, l’aspetto della produzione piuttosto che quello della comprensione, che è invece preponderante soprattutto nelle prime fasi dell’acquisizione spontanea del linguaggio nel bambino udente.

Nel metodo logopedico misto o bimodale viene utilizzato l’italiano segnato (IS). La parola vocale viene accompagnata dal segno corrispondente lasciando inalterata la struttura della lingua verbale. Oltre all’italiano segnato, nel metodo bimodale si può far uso dell’italiano segnato esatto (ISE): si utilizzano cioè, per tutte quelle parti del discorso a cui non corrispondono dei segni (articoli, preposizioni, plurale dei nomi), gli evidenziatori, cioè dei segni artificiali, e la dattilologia (l’alfabeto manuale).

L’educazione bilingue consiste invece nell’esporre il bambino sordo contemporaneamente alla lingua vocale e alla lingua dei segni. Questo metodo, oltre all’apprendimento della lingua parlata attraverso l’ausilio di protesi acustiche e dell’intervento logopedico, come per i metodi precedenti, ritiene la lingua dei segni fondamentale per lo sviluppo intellettivo e del pensiero, proprio perché utilizza il canale visivo-gestuale, il canale comunicativo integro, che per natura si costruisce attraverso differenti parametri di base, adeguandosi alle caratteristiche che tale canale richiede.

Le lingue dei segni
Le lingue dei segni possiedono una struttura grammaticale e sintattica del tutto simile per complessità a quella delle lingue vocali. Come nelle lingue vocali esistono particelle semplici non dotate di significato, i fonemi, che insieme vanno a formare le parole, così nelle lingue dei segni esistono i cheremi, unità minime non dotate di significato. Secondo quest’analisi, un segno si può scomporre in riferimento a cinque parametri: la configurazione ossia la forma che la mano assume nell’eseguire il segno; il luogo cioè lo spazio dove viene eseguito il segno; il movimento che si effettua mentre si articola il segno; l’orientamento del palmo della mano mentre si segna.

E infine i segnali non manuali: sono fondamentali e accompagnano l’articolazione del segno. Essi possono essere dati da espressioni facciali, da movimenti delle labbra, della lingua, dalla postura del corpo. Questi segnali non manuali servono a trasmettere gran parte dell’informazione che nelle lingue vocali viene trasmessa attraverso l’intonazione o l’uso di particolari costruzioni (ad esempio la costruzione con l’ausiliare “do” per le frasi interrogative in inglese).

La simultaneità
Nelle lingue vocali, gli elementi che formano una parola occorrono sequenzialmente in ordine lineare per la specificità dei canali utilizzati (canale uditivo e canale fonatorio) che non permettono di esprimere più suoni contemporaneamente. Gli elementi che formano un segno, invece, occorrono simultaneamente o perlomeno si sovrappongono e quindi spesso non possono venir analizzati in sequenze temporali, ma piuttosto in termini di unità spaziali e di movimento che coesistono all’interno di una unità di tempo.

La spazialità
È un concetto molto importante per una lingua dei segni. Nella prospettiva, gli oggetti vicini sono più grandi e i lontani sono piccoli, come in un quadro o in una foto. Quindi per descrivere la prospettiva è fondamentale il movimento del segnante verso l’avanti. L’espressione facciale varia dal primo piano allo sfondo: esprime la vicinanza attraverso l’espressione neutra e man mano si modifica con il progressivo restringimento di occhi e bocca per dare l’idea della lontananza.

Inoltre gruppi di oggetti, o oggetti inseriti in un ambiente ben definito, devono essere descritti senza tralasciare la loro posizione reciproca nello spazio: questo è molto importante.

La direzionalità
È un altro concetto base. Nelle frasi direzionali è molto importante la modulazione del segno, data dalla diversa estensione del braccio, che indica la direzione. Essenziale è l’espressione facciale che accompagna l’estensione del braccio e che indica la distanza (molto vicino, vicino, lontano, molto lontano) che c’è tra il soggetto (il segnante) e l’elemento posizionato in un determinato luogo. E infine è determinante l’indicazione, che viene usata al termine della definizione della posizione in cui si trova l’elemento. Questo per sottolineare che quel determinato elemento è proprio nella posizione descritta.

La struttura
Accanto alle lingue dei segni usate dai sordi esistono altri sistemi gestuali a metà tra la lingua parlata e la lingua dei segni, come la dattilologia (trasposizione in segni manuali di una parola lettera per lettera) e la lingua segnata (che utilizza a livello di vocabolario i segni dei sordi e a livello grammaticale e sintattico segue la lingua parlata).

Mentre l’Italiano Segnato può venire usato contemporaneamente all’italiano parlato, questo non è possibile quando si utilizza la Lingua Italiana dei Segni poiché la struttura grammaticale-sintattica delle due lingue è molto diversa. Infatti, mantenendo la sua peculiarità visiva, la lingua dei segni dispone gli elementi di una frase in modo diverso dalla lingua vocale: il luogo dove avviene il racconto, il soggetto, l’oggetto, il verbo che viene eseguito nella direzione dell’oggetto, la negazione (se la frase è negativa la negazione viene sempre posizionata alla fine).

Mentre nelle lingue vocali il legame fonema-significato è del tutto arbitrario, nelle lingue dei segni il rapporto configurazione-significato non lo è sempre. Esistono delle metafore visive.

Inoltre spesso un segno fatto in una parte del corpo corrisponde ad un significato astratto e deduttivo. Per esempio, molti segni eseguiti a lato della fronte/testa sono riferiti a significati di pensiero, sogno, difficoltà, imparare, scuola, laurea, università. Oppure i segni eseguiti a contatto del petto spesso fanno riferimento al cuore e di riflesso ad una serie di sentimenti come affetto, rimorso, dolore, gelosia, sacrificio.

La temporalità
L’aspetto temporale delle frasi segue anche qui regole diverse in quanto non esiste la coniugazione del verbo ma un sistema molto articolato di forme avverbiali di tempo che si modulano su un’immaginaria linea del tempo che passa sopra la spalla del segnante.

I segni rivolti verso il retro delle spalle fanno riferimento al passato, quelli in avanti fanno riferimento al futuro, vicino al corpo è situato il presente. In genere la distanza in avanti o indietro del segno avverbiale sulla linea del tempo dipenderà da quanto è distante, nel futuro o nel passato, ciò che si sta narrando.

In copertina
Libertà si può chiaramente esprimere anche con la Lingua dei Segni. Lo fa nella curiosa copertina di questo numero l’autrice dell’articolo. Sue le mani anche nelle foto che in queste pagine rappresentano, nell’ordine, i segni “aereo”, “erba” e “foglia”.

Fonte: Mobilità  – nw589


Newsletter della Storia dei Sordi n. 589  del 20 novembre 2008

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