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Prevenire il sordomutismo nei neonati (Newsletter della Storia dei Sordi n. 585 del 14 novembre 2008)
Prevenire il sordomutismo nei neonati. Oltre il 10 per cento della popolazione italiana ha problemi di udito, cioè circa sette milioni di persone. Mezzo milione di adulti presentano sordità invalidante, mentre più di mille sono i bambini che ogni anno nascono con problemi di sordità congenita. L’ipoacusia è pertanto una delle patologie più presenti nella nostra società, un serio problema medico e sociale.
Gli effetti di perdite o di assenza dell’udito nei bambini possono essere però ridotte in maniera drastica con il riconoscimento precoce della sordità e l’uso degli impianti cocleari, sofisticate apparecchiature, che permettono ai bambini di recuperare capacità uditive e di sviluppare così capacità cognitive e di linguaggio normali nonostante siano sordi.
“Una inadeguata prevenzione e una scarsa sensibilizzazione all’ipoacusia contribuiscono ad aggravare la situazione della patologia – spiega il prof. Gaetano Paludetti, Ordinario di otorinolaringoiatria alla Cattolica e direttore del corso – particolarmente delicata in età neonatale e pediatrica. La ipoacusia in particolare nel neonato è sicuramente una condizione drammatica per l’intero nucleo familiare – continua Paludetti -, ma che ha una soluzione, se diagnosticata in modo precoce. Il bambino, se correttamente trattato, potrà essere sottratto a una vita di grave disabilità e restituito, a una vita del tutto normale”.
Si calcola che il 60 – 70 per cento dei casi di ipoacusia grave sia di origine genetica. Ma anche alcuni agenti patogeni virali come la rosolia, il citomegalovirus, l’herpes virus, o agenti protozoari come il toxoplasma o batterici, come la sifilide, se contratti dalla madre durante la gravidanza causano sordità nel neonato. E’ difficile accertare la perdita uditiva nei bambini, ma diagnosticarla tardi determina un ritardo nello sviluppo del linguaggio e delle capacità cognitive.
“Nel caso di bambini con ipoacusia preverbale – spiega il prof. Paludetti, – diventa quindi essenziale, per evitare l’instaurarsi di una situazione di disabilità, favorire al massimo l’apprendimento di una comunicazione acustico – verbale e l’avvio del bambino ad una terapia protesico-riabilitativa efficace. Uno degli obiettivi primari dell’attività clinica in audiologia è arrivare a una diagnosi il più precocemente possibile, già entro il primo anno di vita, perché è importante fornire immediatamente al bambino una stimolazione acustica, che possa espandere la sensazione fino a fargli percepire anche segnali di bassa intensità”.
“Oggi – continua Paludetti – c’è più attenzione al problema sia tra gli specialisti otorinolaringoiatri, che tra i pediatri. Ma molto si può ancora fare come la diffusione di screening neonatali in tutte le Regioni italiane e non solo su soggetti ritenuti a rischio, cioè su quei neonati con più alte probabilità di avere un’ipoacusia, avendo malattie ereditarie o per particolari affezioni della madre. E’ oggi possibile effettuare la diagnosi di sordità infantile fin dal secondo giorno di vita del bambino mediante due esami semplici e affidabili: l’otoemissione acustica e i potenziali evocati. Una volta eseguita la diagnosi definitiva si può pensare all’intervento con l’impianto coclearie”.
L’obiettivo finale è quello di correggere il deficit e allontanare il rischio di “sordomutismo”, in cui lo sviluppo del linguaggio è completamente assente. Il bambino che non sente, non emette suoni, perché non riesce ad ascoltarli: tale condizione porta al mutismo o a disturbi del linguaggio gravissime provocati dalla impossibilità del bambino di correggere e sviluppare una voce naturale in quanto non sente parlare e non può confrontare la sua voce con quella dei suoi componenti familiari.
Da oltre 10 anni la Clinica Otorinolaringoiatrica del Gemelli, con i servizi di Audiologia, Audiologia Infantile e Foniatria, e la collaborazione delle Unità di Neuropsichiatria infantile, Psichiatria e Radiologia, si dedica agli aspetti educativi, riabilitativi e alle problematiche dei pazienti affetti da sordità, utilizzando la tecnica chirurgica di tipo mininvasivo dell’impianto cocleare. L’impianto cocleare è un dispositivo elettronico che sostituisce completamente la coclea e converte i suoni in stimoli elettrici che attivano direttamente il nervo acustico. Oltre 100 sono gli interventi effettuati sino a oggi, soprattutto su bambini.
“I pazienti – spiega Paludetti – sono stati scelti dopo un’accurata selezione e grazie all’apporto oltre che dell’otologo anche del logopedista, dello psichiatra e del neuroradiologo; si tratta di una coordinamento multidisciplinare che consente di seguire il paziente e i suoi familiari durante la diagnosi, la terapia e la riabilitazione col fine di raggiungere le migliori performance uditive e comunicative possibili”.
“L’intervento chirurgico – continua l’otorino del Gemelli – dura circa due ore: un’incisione cutanea retroauricolare di 4-5 cm consente di creare l’alloggiamento del ricevitore sotto la cute della regione temporale e di introdurre una serie di elettrodi all’interno della coclea attraverso una piccola fessura praticata nella coclea. L’impianto cocleare permette oggi a migliaia di adulti sordi di riprendere una vita sociale sostanzialmente normale ed a migliaia di bambini nati sordi di avere uno sviluppo cognitivo e sociale perfettamente normale”.
Fonte: universonline.it
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Newsletter della Storia dei Sordi n. 585 del 14 novembre 2008