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Il linguaggio delle Mani (Newsletter della Storia dei Sordi n. 448 del 15 marzo 2008)
Con la loro capacità di rafforzare e spesso sostituire le parole, le mani manifestano quello che i latini chiamavano ”gesto oratorio”: indispensabili nei contatti sociali e con le loro espressioni di orientare, minacciare, benedire, accarezzare e colpire, diventano uno strumento prezioso di lettura e di comprensione degli altri.
Il saluto
L’uso delle mani per salutare una persona cambia spesso a seconda delle popolazioni e delle tradizioni.
In Malesia, ad esempio, le mani si incrociano sul petto e stringono le spalle, quasi abbracciando sé stesso ed inibendo quindi il contatto fisico con l’altro che rimane virtuale.
Il saluto hawaiano invece è caratterizzato dalla mano alzata sopra la testa e fatta ondeggiare con pollice e mignolo distesi e le altre dita piegate. Pochi sanno che questo gesto fu portato sulle isole Hawaii dai primi conquistatori spagnoli, i quali entrarono in comunicazione con gli indigeni mimando il gesto amichevole di un invito ad una bevuta.
Nell’Antica Roma si usava stringere contemporaneamente i due avambracci della mano destra in segno di reciproca amicizia e non di uso aggressivo della mano, che solitamente impugnava la spada.
I bantù africani, fra i pochi popoli ad usare da sempre la stretta di mano, si salutano invece sollevando in aria le mani strette reciprocamente e “sganciandole” poi nel momento in cui si trovano nella posizione più alta.
La stretta di mano
Ogni stretta di mano diventa un’esperienza da cui trarre un’impressione reciproca anche in un primo incontro con una persona fino ad allora sconosciuta.
– La stretta di mano energica indica, da parte di chi la pratica, una personalità sicura e con buona autostima, se però si esprime in modo troppo energico potrebbe indicare una certa aggressività.
– Una stretta “molle” rivela invece una natura poco cordiale, sfuggente e talvolta ambigua.
– La stretta di mano viene definita “rustica” quando è troppo forte nello stringere ed agitare. Rivela schiettezza, abitudine ai lavori manuali, in qualche caso ostentazione di forza e grossolanità.
– La stretta di mano assente è invece sintomo di debolezza, insicurezza e paura di un coinvolgimento.
– Quando la stretta di mano viene prolungata in modo eccessivo, il soggetto che la pratica rivela una natura invadente mentre una stretta di mano tremolante e con sudorazione trasmette ansia e agitazione da parte di chi la pratica.
– Quella denominata “a sandwich”, con l’uso cioè di entrambe le mani, vuole mostrare un particolare affetto.
– Quando il contatto è infine ponderato e normale, vi si può individuare tanto una spontanea socievolezza quanto un desiderio di prudenza nell’approccio e attenzione nel non svelare nulla di se stessi.
Le carezze ed il massaggio
Le mani possono sfiorare, spingere, frizionare, sentire, toccare, accarezzare, massaggiare. Queste azioni rimandano a contenuti affettivi e corporei, ad una relazione ed a un linguaggio – quello del tatto – notoriamente penalizzato in una cultura, come quella occidentale, essenzialmente cognitiva, visiva e improntata su un formalismo che penalizza i contatti fisici. Anche quando si entra nella sfera di rapporti più intimi, le tenerezze, le carezze, i preliminari possono risultare poco facili o limitati mentre prevale il piacere della penetrazione e dell’orgasmo.
A livello fisiologico, invece, i recettori della pelle, stimolati dagli sfioramenti delle mani, trasmettono le stimolazioni prima alla corteccia cerebrale, subito dopo al talamo e quindi all’ipotalamo fornendo sensazioni di piacere molto elevati.
Altri significati nel linguaggio delle mani
Le mani possiedono un loro linguaggio che può integrare quello verbale ma essere anche indipendente da esso, esprimendo persino il contrario di ciò che si trasmettendo per mezzo delle parole.
Può capitare che, nel corso di un colloquio importante, una persona avverta il disagio di non sapere dove mettere le mani. Se tende, ad esempio, ad infilarle e sfilarle dalla tasca ripetutamente, sistemarsi l’abbigliamento, giocherellare con una collana o con un bottone o con qualsiasi oggetto abbia tra le mani, egli trasmetterà una sensazione di insicurezza. Se la tendenza è invece quella di nasconderle, ad esempio tenendole ostinatamente in tasca, il soggetto rivelerà una scarsa affidabilità o comunque la tendenza a nascondere la verità su se stesso.
Se durante un dialogo la persona tende a muovere animatamente le mani può esprimere estroversione ma anche tradire una certa ansia nel vivere la situazione, e dunque una indole insicura o impaziente.
Colui che non muove mai le mani è probabilmente una persona metodica, lenta nel prendere le decisioni ma anche impermeabile alle idee nuove.
Toccarsi il naso con l’indice indica che il soggetto deve prendere una decisione importante. Se con l’indice invece si tocca la nuca si tratta di un timido e timoroso davanti alle difficoltà.
Se si tiene il collo con l’indice ricurvo come fosse un uncino, si ha davanti qualcuno che tende a sopravvalutarsi.
Prendersi la testa fra le mani può denotare insicurezza e bisogno di conforto.
Chi si strofina le mani intrecciando contemporaneamente le dita è poco sincero ed è suggestionabile perché non è convinto delle sue idee, ma se le dita sono intrecciate mentre le palme stanno ferme la persona è sicura e soddisfatta.
Se le palme durante un discorso si avvicinano lentamente una all’altra congiungendosi come in un atto di preghiera si ha un temperamento ricco e generoso.
Le mani che si uniscono a formare una specie di palla o sono strette una all’altra indicano una tendenza all’avarizia. Il linguaggio con le mani per i sordociechi
Metodo Malossi
Per chi è colpito da un handicap sia visivo che uditivo, come nel caso della Sindrome di Usher, vi è la possibilità di valorizzare il contributo degli altri sensi, a partire dal tatto.
Il metodo Molossi è il principale sistema di comunicazione tra o con sordociechi in Italia e nasce dalle intuizioni del maestro Francesco Artusio, nei suoi tentativi di trovare un modo per comunicare con il suo allievo sordocieco Molossi. La sua efficacia resta però legata all’utilizzo da parte di persone che hanno appreso la lettura e la scrittura prima di diventare sordocieche.
La comunicazione con il metodo Molossi avviene l’uso delle mani: per indicare una lettera si tocca un determinato punto della mano aperta, per scrivere una parola si toccano in sequenza diversi punti.
Diversi significati, inoltre, vengono associati a seconda che le lettere vengano semplicemente toccate o pizzicate.
La distribuzione delle lettere avviene in forma sequenziale dal pollice al mignolo secondo i seguenti gruppi e posizioni:
– dalla A a E nella zona dei polpastrelli (tocco)
– da F a J nella falange media (tocco)
– da K a O nella zona dell’articolazione delle dita (tocco)
– da P a T nella zona dei polpastrelli (pizzico)
– da U a Z nella zona dell’articolazione delle dita (pizzico)
La lettera W si rappresenta pizzicando il punto situato tra l’indice e il medio.
Metodo Tadoma
Il metodo di comunicazione Tadoma è costituito dal riconoscimento dei suoni vocali utilizzando il tatto, ovvero poggiando il pollice sulle labbra ed il palmo della mano sulle guance di chi parla.
Il metodo si basa sul fatto che la posizione della bocca e delle labbra cambia a seconda del suono emesso e che dunque si può imparare a riconoscere le varie posizioni ed associarle a lettere o parole.
Nelle prime fasi dell’apprendimento del Tadoma, si usa ponendo entrambe le mani sul viso di chi parla. Con l’acquisizione della pratica, è invece di solito sufficiente una sola mano per decifrare le parole: il pollice viene appoggiato leggermente alle labbra di chi parla o anche a pochi millimetri di distanza, purché si possa rilevare la posizione delle labbra. Il mignolo viene invece appoggiato alla mascella, per cogliere le vibrazioni trasmesse attraverso l’osso; le altre dita, infine, rimangono appoggiate sulle guance, rilevando varie importanti sensazioni tattili.
Con l’allenamento si imparerà a capire quanta aria viene emessa durante la produzione del suono, la durata dell’emissione (molto più lunga, ad esempio, nel caso della pronuncia della lettera S rispetto alla pronuncia della P), persino la temperatura dell’aria (più calda quando vengono emessi suoni nasali come M o N), e così via. La somma delle informazioni così raccolte permette di riconoscere con un buon margine di sicurezza tutti i suoni emessi e poter ricostruire intere frasi.
Riferimenti bibliografici:
Corballis Michael C., “From Hand to Mouth: The Origins of Language”, Princeton Univerity Press.
Pacout N., “Il linguaggio dei gesti” Armenia 2007.
Allegro M, Micelisopo M., “L’educazione dei sordociechi vol. 1″, Editrice Phenix Roma 1996.
Nisi A., Ceccarini P.,”I linguaggi alternativi metodi non verbali di comunicazione” da “Handicap e disabilità di apprendimento” riv. 32 Learning Press Ed. Roma 1989.
Borghi M., Marchese C. (a cura di) “La sindrome di Usher, Uno sguardo nella sordocecità” APRI-FIARP- Città di Torino, Ass.alla gioventù.
Fonte: benessere.com (2008)
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Newsletter della Storia dei Sordi n. 448 del 15 marzo 2008