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Don Lorenzo Milani e i sordomuti (Newsletter della Storia dei Sordi n.366 del 23 novembre 2007)
La televisione, i quotidiani e i periodici hanno richiamato l’attenzione sulla ricorrenza dell’anniversario della morte del famoso prete di Barbiana nel Comune di Vicchio (Firenze).
Don Lorenzo Milani ha compiuto i suoi studi ecclesiastici nel seminario arcivescovile di Firenze nel quale era viva tra la tradizione di un vincolo di solidarietà fra il seminario e l’Istituto Gualandi per sordomuti. Questo vincolo era nato il giorno del 1885 in cui don Cesare Gualandi a Firenze, invitato dal grande cuore pastorale di mons. Eugenio Cecconi per studiare la possibilità di una scuola per sordomuti, si era trovato a parlare ai teologi in occasione della festa di San Luigi Gonzaga, dopo che l’arcivescovo aveva pubblicamente promesso a don Cesare Gualandi che avrebbe dato il permesso di seguirlo nell’apostolato dei sordomuti, a chi dei chierici avesse espresso il desiderio di seguire lo speciale apostolato.
Da quel giorno don Ferdinando Buoni, giovane sacerdote fiorentino accoglieva nel suo cuore la particolare vocazione e seguiva don Cesare nella casa, appena aperta, al santonovo di Ripoli. In quella casa dimorerà a periodi alterni, sempre tenendo vivo il vincolo con il clero diocesano e con i giovani seminaristi, che, di anno in anno. Si recavano in visita alla casa, che prendeva sempre maggior consistenza per aumento di locali e di sordomuti, assistiti dalla carità dei fratelli Gualandi e dalla generosità della cittadinanza.
Certamente anche don Lorenzo Milani avrà soddisfatto il suo desiderio di conoscere da vicino questi giovinetti, privi di udito e quindi di parola, ma dotati di grandi possibilità pratiche.
Non sappiamo quale impressione riportasse il cuore sensibile di don Lorenzo Milani, ma certamente dovettero produrre due impressioni indelebili: l’impatto doloroso quando i giovani sordomuti desideravano i propri sentimenti, la loro gioia e di voler ricorrere alla comunicazione gestuale, non compresa dai più; e quella, non meno dolorosa, dei giovani seminaristi, desiderosi di chiedere, di rispondere, di iniziare un dialogo che veniva interrotto forzatamente, perché l’interlocutore era sordo.
La dolorosa situazione in cui si trova don Milani fra i giovani sordomuti è richiamata nelle sue Esperienze Pastorale (p. 200 – 202), descrivendo i giovani che gli incontra nella parrocchia nella quale il vescovo l’ha mandato come aiuto al vecchio parroco «Nel giovane d’oggi c’è tutto uno stile che mi è estraneo: parla di sporto senza domandarsi gli ultimi “perché” d’ interessi cosi in significativi. Non vuole parlare di politica e di sindacato per non fare fatica interiore.
Parla della donna e della moglie col solo criterio sensuale. Vuol ignorare il dolore della morte, considera prodezza l’arrischiare per gioco la propria e l’altrui vita sui motori. Parla del denaro come bene supremo. Attende dalla vincita al totocalcio la soluzione di ogni problema. Considera il divertimento un diritto essenziale, anzi un dovere, una cosa sacra, il simbolo della sua età. In conclusione un forestiero, un sordomuto anche per me. Non c’e nulla di più opposto alla fede di questo stile. Su queste premesse, su queste fondamenta non si può murare (…) vacuità intellettuale e culturale».
E «Ci vuole fede per pigliare iniziative nuove (…) non c’è nulla di più opposto alla fede di questo stile». Proprio la sua sensibilità di prete consenti a don Lorenzo di proseguire l’obiettivo primario del suo ministero: evangelizzazione comunicativa, contro il muro dell’ignoranza e della indifferenza: «Dio mi ha affidato un Libro, una Parola, mi ha mandato a predicare» (EP. P. 201) da cui dipendeva l’efficacia della pastorale e dei sacramenti. Partendo allora da una documentazione rigorosa dell’ambiente in cui egli operava, prevalentemente operaio e contadino, don Lorenzo si rese conto che una evangelizzazione comunicativa era possibile solo con il supporto dell’istruzione civile. Elevare il livello culturale della gente, con speciale attenzione ai giovani, disponendo in tal modo un terreno più consapevole e maturo, era condizione indispensabile per affrontare contenuti religiosi. Di qui la priorità data alla scuola, non fine a se stessa ma strumento di apertura al Vangelo: l’uomo è ciò che è per la parola, ed «è tanto difficile che uno cerchi Dio, se non ha sete di conoscere. Quando con la scuola avremo risvegliato nei nostri giovani, operai e contadini, sete di passione umana, portarli poi a porsi il problema religioso sarà un giochetto», (EP, p. 237). «Mi pare di poter dire che a scuola in questo popolo e in questo momento, non è uno dei tanti metodi possibili, ma mezzo necessario e passaggio che non lo sia la lingua per i missionari in Cina (…). Domani invece quando la scuola avrà riportato alla luce quel volto umano e quell’immagine divina che oggi è seppellita sotto secoli di chiusura ermetica, quando saranno i miei fratelli, non per un retorico senso di solidarietà umana, ma per un reale comunanza di interessi e di linguaggio, allora smetterò di fare scuola e darò loro solo Dottrina e Sacramenti», (ivi 301).
Don Lorenzo Milani mette a nudo un sottosviluppo e uno squilibrio nella fede che hanno radici remote, la prima delle quali è la mancanza di un alfabeto che renda possibile la comprensione e l’accoglienza del messaggio. Conseguenza non eludibile «la scuola in questo popolo e in questo momento, non è uno dei tanti metodi ma mezzo necessario e passaggio obbligato né più né meno di quel che non sia la parola per i missionari dell’Istituto Gualandi o la lingua per i missionari della Cina». Aveva tuttavia, in questo suo convincimento, una coscienza critica: «Non che io abbia della cultura una fiducia magica, come se fosse una ricetta infallibile, come se i professori universitari fossero automaticamente tutti più cristiani e avessero il Paradiso assicurato, mentre il Paradiso fosse precluso agli incolti operai di questi monti, ma qui è diverso. Fai conto che qui mi trovi in un istituto pieno di sordomuti non ancor istruiti. Che ne diresti se pretendessi di evangelizzarli senza aver prima dato la parola? I missionari dei sordomuti fanno così. Fanno scuola della parola per anni e poi dottrina per ore. E il loro agire è loro obbligato, perfettamente sacerdotale». Né c’era in lui l’orgogliosa pretesa di imporre la sua scelta personale, legata alla realtà trovata a Barbiana, a tutti i suoi confratelli. C’è una nota che spiega: «Ho detto hic et nuc e nulla più. Quelli dunque che hanno popoli diversi in cui i problemi si presentano in modo diverso mi lascino dire. Non entro nei fatti loro. Ciò che dico servirà per quelli che intravedono nel loro popolo situazioni simili a questa».
Allora l’affermazione che la scuola gli è «sacra come un ottavo sacramento» appare meno azzardata, anzi coerentissima col mandato pastorale di don Milani accolto con serietà assolutamente responsabile. Soltanto la rassegnazione a lasciar concepire i sette sacramenti canonici come atti sacromagici preclusi al loro senso autentico può indurre a pensare che la scuola sia un arbitrio, un capriccio e non una premessa e uno strumento indispensabili. Proprio siffatta rassegnazione don Milani non sopportava a questo senso, si, era un rivoluzionario, «rompeva le scatole», ossia gli schemi mentali del clero cui apparteneva, già questo era un fattore di contrapposizione e, al limite, di ostilità più o meno latente fra i suoi confratelli preti.
Non attribuiva alla scuola funzioni e finalità immediatamente evangelizzanti, dice Giulio Villani, si rendeva ben conto che, con essa, «non li potrò fare cristiani ma li potrò fare uomini, potrò insegnare la dottrina…». E chi sono gli uomini degni di questo nome? Risposta: «Chiamo uomo chi è padrone della sua lingua». (O.R. 26-6-97).
IL pensiero di Giuseppe Gualandi
Lo cogliamo, come sempre dai suoi scritti, nei quali egli ha lasciato tutti il suo cuore, traboccante di carità verso i sordomuti, ma non si è neppure tirato indietro quando, spesso, sono affiorate questioni che si trascinavano da molti anni e alle quali non avevano dato una risposta soddisfacente e definitiva neppure i congressi nazionali e internazionali.
Rimaneva insoluto il problema sul sussidio didattico, adeguato alla persona, don Giuseppe Gualandi si basava sul principio: studiamo la persona e adattiamo a lui il sussidio migliore per un facile e rapido risultato. Siamo contenti che il trentennio della morte di don Milani ci abbia riportato alla ribalta quelle sue affermazioni sulla necessità della scuola perché «senza cultura non c’è coscienza, non si sceglie, ma si è scelti». «Il sordomuto, avendo una intelligenza e non potendo essere in comunicazione con gli altri per l’udito che risveglia la parola, ricorre naturalmente, ai segni, come secondo mezzo dato in natura per scambievolmente intenderci come facciamo noi pure ogni qualvolta avvenga che per una circostanza, senza farsi agli altri qualche idea.
Questa è legge da cui non si prescinde, né si può decampare, ed ancorché si insegni a pronunciare parole, a leggere sul labbro, non ascoltando egli né ciò che dice il maestro, né ciò che risponde lui, né viene che il metodo labiale non è che una mimica di bocca e, in mancanza di udito, tutto deve entrare dagli occhi e la base dell’insegnamento sono sempre segni o di mano o di dita o di labbra, (1891)».
«Il fare parlare il sordomuto non vuole dire mettergli una intelligibile parola in bocca… basterebbe il pappagallo e parlerebbe come un automa. Per parlare bisogna pensare, ragionare, indurre dedurre. E questo che manca al sordomuto.
E quel che importa è che acquisti questa abitudine di volgere le sue facoltà mentali, sia che con un metodo o con l’altro la raggiunga, che un metodo che siasi trovato migliore e da preferire assolutamente parlando».
In occasione del congresso nazionale di Genova, don Giuseppe Gualandi commenta brevemente le varie tesi e alla seconda che ha come tema se la scuola ad esternato può bastare all’istruzione dei sordomuti, risponde: «A formare sordomuti che parlino sufficientemente, si; ma non ad educarli nella mente e nel cuore e alla Religione Cattolica. Il che non ottenendo, meglio è per loro lasciarli nell’ignoranza in cui li pose la natura. E’ ciò come indubitato» (1897).
Prole forti quelle sottolineante da noi, le quali erano forse un poco fuori posto nel tempo nel quale furono scritte, perché era u n periodo fiorente anche per l’istruzione e l’educazione dei sordomuti. Esse ritornano invece di dolorosa attualità quando si pensa al vuoto che oggi gira attorno al sordomuto. Nei giorni passati, un quotidiano riportava una cifra tolta da una statistica e diceva che il trenta per cento dei sordomuti italiani sono dai 15 ai 30 anni. Ciò significa che molti di essi sono usciti dalle scuole normali in forza dell’inserimento non sappiamo con quale cultura.
Mi sembra che le parole di don Milani, alle quali fa eco don Giuseppe Gualandi, riprendano la loro forza, anche se la stampa si ferma volentieri a elogiare sordi che si sono trovati in particolari situazioni o per la tardiva insorgenza della sordità o per favorevoli condizioni ambientali, senza curarsi i molti sordi che rimangono nel sottobosco e lottano per sopravvivere e per «non essere scelti e usati da parte di chi può surrogare la propria ignoranza con l’uso del potere». (G.Villani) ivi.
Un altro quotidiano interpella i sordomuti: «la parola corre su internet!». Ma è necessario che il sordomuto che usa quel sussidio corra alla stessa velocità. Fuori di metafora, è necessario che il sordomuto conosca il significato della parola in se stessa e nel contesto della frase in cui è inserita, altrimenti la parola corre inutilmente e il sordomuto resta a terra.
Fonte: Effeta – nw366
Leggi la biografia di Don Lorenzo Milani…
INFO:
Fondazione Gualandi a favore dei Sordi
Fondazione Don Lorenzo Milani
Barbiana di Vicchio del Mugello (Firenze)
Newsletter della Storia dei Sordi n.366 del 23 novembre 2007
«La storia è testimonio dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita» (Cicerone)
«La storia non è utile perché in essa si legge il passato, ma perché vi si legge l’avvenire» (M.D’Azeglio)
«Bisogna ricordare il “passato” per costruire bene il “futuro”» (V.Ieralla)
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“Storia dei Sordi. Di Tutto e di Tutti circa il mondo della Sordità”, ideato, fondato e diretto da Franco Zatini