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Grido del guerriero nel silenzio. Brillante studente, brillante ricercatore universitario, brillante formatore: Sordo (Newsletter della Storia dei Sordi n.192 del 27 febbraio 2007)
Renato Pigliacampo, già psicologo dirigente alla Asl di Civitanova Marche e attualmente docente a contratto presso la Facoltà di Scienze della Formazione nell’Università di Macerata, si è laureato, tra i primi non udenti – se non il primo in assoluto – nel 1974 in pedagogia, con indirizzo psicologico. Un curriculum studiorum notevole, completato da una seconda laurea e da un dottorato di ricerca.
Da un punto di vista pratico, la prima difficoltà a profilarsi nella vita del non udente s’annuncia sui banchi di scuola. Cosa potrebbe dire a proposito della comunicazione in ambito scolastico?
«Oggi il sordo, o l’audioleso, che dir si voglia, trova difficoltà nel seguire le lezioni perché i docenti di sostegno non fanno quasi nulla per “farsi capire”. Mi riferisco all’apprendimento delle modalità di comunicazione, o alla lingua dei segni».
La maggior parte dei genitori si preoccupa solo che il proprio figlio parli bene a voce.
«E invece c’è la necessità prioritaria per il bambino di comprendere i concetti. Perché è l’appropriarsi della capacità d’imparare a scrivere, di capire quanto si legge a consentire al sordo di diventare protagonista, piuttosto che avere una voce più o meno chiara. Al limite parlare a voce non serve a niente se non si conoscono i contenuti».
L’associazione dei sordi (ENS) lotta da anni per avere docenti specializzati ad hoc, significa capace di comunicare con gli alunni, di sfruttare la loro ricchezza d’apprendimento visiva.
«Il Ministero non ha mai affrontato scientificamente l’istruzione dei sordi. Ho scritto un testo piuttosto polemico, firmandolo con lo pseudonimo Scuola di Silenzio: “Lettera ad una Ministro (e dintorni)”, Armando editore. Purtroppo non c’è una risposta professionale alla soluzione dei problemi dei docenti per la popolazione scolastica audiolesa. Ci sono in Italia quasi 80mila docenti di sostegno, ma veramente specializzati per i sordi, come riferiva il direttore generale del MIUR della Lombardia qualche tempo fa, sono nemmeno un centinaio».
E a questi numeri scoraggianti si aggiungono i resistenti pregiudizi di una società “che non capisce” i sordi.
«Sui pregiudizi vecchi e nuovi sarebbe troppo banale dilungarsi. Cerco di sintetizzare il pensiero in due domande fondamentale e, alle stesse, dare risposte leali, in particolare ai genitori e agli operatori della scuola e della sanità. Le domande sono: “che cos’è il silenzio? e che cos’è la voce?” Per me il Silenzio, con la “S” maiuscola come si ritrova nei miei scritti, è comunicare, dire all’altro: “io sono qui, con te, tu fa’ qualcosa per essere con me, non ci divide la voce, ci divide ciò che noi attribuiamo alla voce. Se tu dài al mio Silenzio la stessa forza e capacità che poni nella voce, tu mi capirai benissimo, tu condividerai le mie idee, il mio messaggio, il mio amore…”. Il MIUR non ha capito il Silenzio dei sordi. Perché se lo avesse compreso avrebbe favorito anche una scuola per i sordi e non solo dire loro integratevi nelle strutture dei normali. Assurdo! Potremo integrarci quando sarà riconosciuta la nostra diversità di linguaggio e di apprendimento. Solo così gli insegnanti diverranno specializzati, con la capacità di riciclare le conoscenze secondo la fenomenologia percettiva e d’apprendimento di noi sordi».
Lei non conosce la diplomazia ed è insistente nel condurre avanti le denunce. Questa alta tensione morale lo dimostrano le sue pubblicazioni, conferenze, iniziative… è servito?
«Non lo so se è servito il mio grido! Ormai sono più vicino ai sessanta che ai cinquant’anni! Ciò che volevo (per la mia professionalità, per la mia famiglia….) l’ho ottenuto con mille sacrifici. Grazie alla mia grinta, perché io sono un combattente. Mi chiamano il Guerriero del Silenzio. Sono un Guerriero, certo, ma un Guerriero che si presenta senza scudo. Per questo sono spesso ferito: e mentre cado trovo sempre accanto, stranamente, qualcuno che mi aiuta ad alzarmi e dice: vai, vai Guerriero! Quando frequentavo a Roma Cesare Zavattini, che aveva casa poco lontano dall’Istituto Statale dei Sordi, sito a via Nomentana, mi diceva che dovevo raccontare me stesso, non dovevo inventare niente. Per anni ho scritto testi di psicopedagogia e di linguistica, molti utilizzati nei corsi di formazione… ma veramente io mi sento poeta perché nella poesia esprimo emozioni, creo metafore, mi aiuta la lingua dei segni che è radicata in me. In questo lavoro di ricerca poetica ho analizzato la poesia di Leopardi con la lingua dei segni e ne ho scoperto meglio la genialità poetica, la grandezza, le capacità sinergiche del canto, la fusione tra suono e visione. Leopardi è grande per questo. Taluni critici, ovvio con la differenza, affermano che il mio lavoro poetico ricalca la semiotica percettiva leopardiana…».
Lei, Pigliacampo, che è nato a Recanati, ha affermato di “sentir dentro il canto della poesia”. Ci dica, nella realtà accade che la sordità sia fattore di esclusione rispetto alla cultura della maggioranza?
«L’uomo è sordo perché è egoista. Io vivo con la morte perché sono cosciente di morire e non mi deprime parlarne. La morte è forza creatrice, arte, lo è quando hai un ideale, un progetto. I Progetti devono essere portati il più presto a compimento proprio perché il tempo passa via veloce. La vita è la metafora della morte. La lingua visuomanuale mi ha spronato a entrare nell’anima della parola. I sordi hanno una lingua, dunque una cultura; un ricco mondo che gli udenti devono scoprire. Rido amaramente quando gli scienziati studiano il comportamento dei topi… Studiate i sordi e avrete mille risposte!».
Scuola di Silenzio è un’opera che Lei ha definito “metaforica” rispetto al Suo percorso di vita. Dal punto di vista professionale o umano? O vi è coincidenza tra le due prospettive?
«Scuola di Silenzio è un grido d’amore per i sordi. Come lo era Lettera a una logopedista. Io sono un venditore di emozioni, perciò un poeta. Ma i poeti, anche i capaci, oggi sono cestinati, per non dire derisi. Perché le emozioni sono manipolate o svendute al mercato della chiacchiera da coloro che devono far soldi. La gente è confusa, non distingue un sentimento vero da una scena virtuale. Io so che i sordi racchiudono il Silenzio delle emozioni: e pure sono parlanti se usciremo dal guscio dell’ovvio e delle presunzioni d’essere superiori. Nello stesso tempo dobbiamo aiutarli a crescere perché si approprino della cultura, della capacità di mostrare le loro potenzialità alla società di maggioranza verbale. Bisogna adoperarsi a comunicare che compio, nel mio piccolo, col Blog…»
Dal 2004 guida la Commissione “Integrazione scolastica” della FAND (Federazione delle Associazioni Nazionali dei Disabili). Incarichi che Le consentono avanzamenti in termini pratici rispetto alle problematiche in questione?
«Per quanto riguarda la FAND mi impegno certo, ma anche qui comprendo che ogni disabilità va affrontata da esperti competenti. Io lavoro in stretto rapporto col prof. Tioli, non vedente, battagliero quanto me. Sordi e ciechi possono e devono impegnarsi per dare ai sordi la priorità, nelle graduatorie, d’insegnare ai simili. Nel nostro Paese, sembra che il potere politico, gli stessi dirigenti scolastici o il corpo insegnanti abbiano timore di affrontare la questione dei docenti non udenti o non vedenti come corpo docente specializzato».
In veste di autore, pensa alla stampa come ad una finestra da aprire sul silenzio, in qualche modo scongiurandolo? In ultimo, qual è la Sua opinione a proposito dei media, anche per quanto riguarda le potenzialità espressive aperte a chi è affetto di una disabilità sensoriale o fisica o psichica?
«I media per i sordi, qui in Italia, si sono svegliati tardi. In Gran Bretagna e in molti altri Paesi europei i programmi sono quasi tutti sono sottotitolati. I sordi non possono partecipare a molte trasmissioni di intrattenimento, per esempio non passano concorrere ai Quiz ecc. È una questione di maturità culturale. Le tecnologie esistono per superare lo svantaggio, basta applicarle! Pare che i disabili non facciano audience, forse perché sono ‘presentati’ male. Bisogna abbattere, insisto, i pregiudizi. Nei cosiddetti diversamente abili c’è tanta ricchezza da scoprire e, scoprendola, diventeremmo tutti più ricchi».
Fonte: Popolis.it – nw192
Newsletter della Storia dei Sordi n.192 del 27 febbraio 2007