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Don Cesare Gualandi nel 120° anniversario della sua morte (Newsletter della Storia dei Sordi n.153 del 3 gennaio 2007)
La sera del 16 dicembre 1886, verso le ore 18, Don Cesare Gualandi si spegneva in Bologna, nella sede dell’Istituto Gualandi, all’età di 17 anni, tra il compianto di tutta la famiglia da poco costituita. La malattia era stata lunga. Aveva dovuto ricorrere alle cure di bagni di Porretta Terme (Pistoia) all’inizio dell’estate 1886. Tornato a Bologna verso la metà di agosto, si era trasferito poco dopo a Villa Marsili, sede di campagna della famiglia e dell’Istituto, vano permesso. Soffriva di una dolorosa affezione gastrica, che fin dalla giovinezza aveva amareggiato la sua esistenza e impreziosita la sua corona di meriti, ma che poi si era rincrudita e gli procurava spasimi atroci.
Aveva presagito la sua fine, tanto che lo aveva precedentemente manifestato a Don Ferdinando Buoni, futuro successore dei Gualandi, e a Suor Orsola Mezzani, Superiora Generale della sezione femminile, accorsi al suo capezzale.
L’9 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione, scelta a protettrice dell’Opera e quindi giorno di particolare solennità per il piccolo gregge, quando al pranzo, uno dei confratelli si recò nella cameretta di Don Cesare per partecipare anche a lui, il dolce che stava allietando la mensa dei suoi figli, venne trovato abbandonato sulla poltrona, fuori dei sensi. E’ difficile immaginare la costernazione di tutti e l’allarme estesosi immediatamente nella comunità e presso gli altri Istituto di Roma e di Firenze.
Il buon Padre dopo rinvenne, ma la paralisi lo rese quasi immobile e tolse pure la parola a lui, che per trentasei anni aveva cercato di darla ai sordomuti. Non con lieve sforzo riuscì a manifestare il desiderio di ricevere i sacramenti e così gli venne amministrata la SS. Eucaristia in forma di viatico. Trascorse nella quasi immobilità e nell’impossibilità di parlare ben otto giorni.
La sera del 16 dicembre, si spegneva, in quella stessa cameretta, su quello stesso letto, ove sette anni prima, 18 dicembre 1879, si era addormentata nel Signore sua madre, da lui assistita e confortata.
Lo sgomento dei membri della congregazione appena nascente, lo sconforto di quanti lo stimavano e l’amavano, il dolore degli assistiti nei tre Istituti da poco fondati, il comune rimpianto sono più facili ad immaginare che a descrivere.
Raffaele Vicari, un allievo di Don Cesare, così descrive la costernazione ed il dolore di tutti: “Mi è estremamente caro accennare e raccontare, per ricordare ai posteri, tante memorie e vicende della vita e della morte di Don Cesare Gualandi nell’anniversario della sua dipartita. Io, suo allievo prediletto, ho ancora vivissimi il ricordo della sua vita operosa di educatore e della sua dolorosissima morte che in quei brevissimi giorni mise sossopra tutto l’Istituto per l’ansietà e trepidazioni inenarrabili. Ai primi di dicembre del 1886 accusava un malessere, ma tutti credevamo che fosse il solito male al quale da tempo andava soggetto. Invece la morte era in agguato! Era l’8 dicembre, festa dell’Immacolata e noi lo vedemmo in chiesina tutto raccolto in Dio, ma era tanto sofferente e aveva il viso assai pallido che ci dava un triste presentimento di non più rivederlo. Infatti pochi giorni dopo l’amato padre giaceva paralizzato sul letto della sua camera senza favella e si esprimeva con la mimica e con l’alfabeto manuale per ciò che voleva dire…
Questa notizia si diffuse fulminea fra noi suscitando un profondo dolore. Titti pregavamo e ci comunicavamo, innalzando a Dio preci fervidissime, perché Dio ce lo risparmiasse e ce lo conservasse ancora per molti anni a nostro bene. Ogni mattina, appena alzati, andavamo pian piano a sentire se migliorava e ogni sera sul calar del sole recitavamo il rosario per la sua guarigione e per noi tutti suoi figli di redenzione le notti trascorrevano insonni. Durante questi tre giorni e tre notti di lotta tra la vita e la morte l’amato padre aveva la mente lucidissima e presago della sua fine imminente ci sorrideva e ci benediceva. Sapere di perderlo per sempre era uno strazio per tutti. Il tuo fratello Mons. Giuseppe così desolato lo assisteva e lo confortava continuamente e successivamente, maestri, assistenti ed allievi tutti e suore, fra cui Suoi Orsola Mezzani e suor Cevenini, non mancano al suo capezzale. Io pure più volte fui al suo letto a tenergli compagnia, perché, come suo allievo in cinque anni sotto la sua direzione della scuola, mi voleva tanto bene. Sue ultime parole di esortazione per me (perché da un anno facevo già maestro) furono che io mi fossi dedicato per sempre all’istruzione dei miei simili di sventura, augurandomi un lieto e meritorio avvenire davanti a Dio. Io a questa santa esortazione di apostolo e di un padre morente annuii in presenza di Mons. Giuseppe, che pure sentiva bisogno della mia umile opera, e come pegno della mia promessa fui benedetto dal santo morente. Fino ad oggi ho mantenuto il giuramento fatto a Dio per i miei fratelli di sventura, sacrificando tutta la mia esistenza più bella.”
Arriva il fatale giorno 16 dicembre, l’Istituto piomba nel lutto! L’adorato nostro padre non c’è più. E’ volato nel cielo a godersi il premio eterno nella visione di Dio e fra la schiera dei grandi Benefattori dell’umanità sofferente!
La Chiesa parrocchiale di S.Caterina di Saragozza addobbata a lutto era piena di gente commossa e riverente. Alla S.Messa di requiem, oltre gli alunni ed alunne col rispettivo personale, figuravano da una parte parenti ed ammiratori e dall’altra un momento stuolo di ex alunni per riconoscenza al loro grande maestro. Sono trascorsi centoventi anni da quella data dolorosa.
I figli, per la riconoscenza, si raccolgono attorno al loro padre nell’intento di ricordare la figura del missionario, del fondatore, del maestro, del trascinatore d’anime e col proposito di rinnovare il loro impegno nell’attuazione generosa dell’esempio e del programma lasciati loro in eredità.
Per questo in occasione del centoventesimo anniversario della sua morte, si vuole che sia apprezzato ancora il messaggio di carità, che lanciò il Maestro Divino nella lontana terra di Palestina quando proprio sul sordo versò lagrime di compassione.
Fonte: Aies Notizie, 2006 – nw153
Newsletter della Storia dei Sordi n.153 del 3 gennaio 2007