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Mandami a dire di Pino Roverendo
Uscito dall’inferno. Roveredo si confessa. Con cruda sincerità. Da quando un anno fa ha vinto, a sorpresa, il premio Campiello con Mandami a dire, il triestino Pino Roveredo, classe 1954, è diventato un personaggio pubblico per la sua difficile storia e si è ritagliato un posto particolare nella narrativa italiana per lo stile originale e immaginifico. Conferma le sue eccezionali doti di narratore questo racconto autobiografico, quasi una catartica confessione che ricostruisce con sincerità dolorosa la sua vita aspra e spietata, ritmata da capriole in salita che l’hanno visto più volte stramazzare «nella delusione del suolo». Alla base della montagna che ha cercato di scalare «per raggiungere la cima che ti regala la giustizia della conquista nel gioco delle giravolte in discesa», l’infanzia accanto a genitori sordomuti, il collegio triste e crudele, il rientro in famiglia dove l’abuso del bicchiere ha trasformato il padre in un violento e la madre in una madonna addolorata.
A 17 anni è un ragazzo smarrito, che cerca di dimenticare le sue ferite sfidando il proibito: furti, scorribande, risse. Per festeggiare, ricorre a sbronze clamorose che lo rendono schiavo dall’alcol: «È impossibile fermarsi quando bocca, gambe e braccia tremano nell’emozione incredibile di quel bicchiere in mano». Finisce in carcere, in ospedale e in manicomio; nei brevi intervalli di quiete si sposa e diventa padre di due figli. Le ricadute, il tradimento delle persone amate lo fanno sentire un uomo da buttare: «Ero come l’immondizia che si sposta con la scopa sotto il tappeto». Quando ogni speranza sembra svanita, l’incontro con la comunità terapeutica e un atto di volontà, questa volta decisivo, lo portano fuori dall’inferno. Pronto ad aiutare chi ne è ancora prigioniero. Autore: Mariapia Bonanate Fonte: Famiglia cristiana.
nw123 (nov.2006)
Pino Roveredo
Mandami a dire, 2005, Bompiani Editore, pp.172.
Il Campiello incorona Roveredo e Scurati. Leggi la rassegna stampa
“I suoi racconti sono veri piccoli capolavori.”
Claudio Magris
“Dolce tesoro mio, come stai? Anche oggi ti ho cercata al telefono e tu non c’eri, ma lì, nella tua lontananza, ti trattano bene? Mi raccomando: se solo ti sfiorano un capello, tu mandami a dire.”
“I personaggi di Roveredo vivono spesso ai margini della vita o nell’ombra; egli ne racconta con partecipe affetto e rispetto le violenze anche brutali e le umiliazioni subite, gli sbandamenti o le canagliate ma anche il generoso e spavaldo coraggio, le piroette e i capitomboli con cui essi cercano di sfuggire alla morsa della vita, i sogni ingenui ma potenti che li portano aldilà dei confini del reale. Questa familiarità con la debolezza e insieme con la sacralità dell’esistenza è irriverente, perché non arretra dinanzi ad alcuna anche impudica o imbarazzante miseria e non s’inchina ad alcuna solennità, ma la tira giù dal piedistallo, dando del tu o anche peggio al Padreterno e mostrando i rattoppi nei calzoni o i buchi nelle calze della vita.” dall’introduzione di Claudio Magris
Note biografiche
Pino Roveredo è nato nel 1954 a Trieste da una famiglia di artigiani: il padre era calzolaio. Dopo varie esperienze ( e salite) di vita, ha lavorato per anni in fabbrica. Operatore di strada, scrittore e giornalista, collaboratore del “Piccolo” di Trieste, fa parte di varie organizzazioni umanitarie che operano in favore delle categorie disagiate. Tra le sue opere, Capriole in salita (1996), La città dei cancelli (1998), Schizzi di vino in brodo (2000), da cui lui stesso ha tratto una stesura teatrale rappresentata al Festival di Lodi.
Leggi la rassegna stampa: “Melara, la mia vera Trieste detta Bronx”, La Provincia, 9 settembre 2006
Newsletter della Storia dei Sordi n.123 del 22 novembre 2006