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Mosca Pietro Vincenzo – Sordomuto Pittore (1800-1876)
O sordomuti, un altro vostro fratello, un artista dei valenti – uno dei primi sordomuti istruiti, allievo del Sicard – andò a pregare per voi in cielo. Leggete quello che ne scrive l’Eco dell’Industria (16 aprile 1876:
Nel mattino del 16 settembre 1830 Silvio Pellico (1), dopo 10 anni di durissima prigionia nel castello di Spielberg, partiva da Novara per Torino in compagnia di una signora, di un negoziante, di un incisore e due giovani pittori, uno dei quali era sordo e muto. Questi pittori venivano da Roma, ed il sordo e muto era Pietro Vincenzo Mosca morto in Vigliano-Biellese il nove dell’ora scorso febbraio (1876, n.d.r.).
Onorato dall’amicizia di questo artista e ammiratore dé suoi dipinti, delle sue virtù, dirò di lui poche parole, anche a confronto dell’ottima e paziente sua consorte Maria Mosca e dell’inconsolabile fratello Luigi Alessandro, sordo e muto egli pure, pittore intelligente assai, non che di tutta la famiglia, dei non pochi amici, nella speranza che qualche raccogliatore di patrie memorie, qualche scrittore della storia antica biellese vorrà formarne una degna e completa biografia (= storia della vita di una persona).
Rosazza é una graziosa borgata del Comune di Piedicavallo, omonima (= che ha lo stesso nome) alla maggior parte dé suoi abitanti, e che deve l’agiatezza delle sue famiglie al lavoro, alle arti, alle fatiche ed alla fermezza e tenacità di proposito (= volontà). Il mome infatti dei Rosazza e dei Mosca é associato a tutte le grandiose imprese, a tutti i colossali (= grandissimi) lavori ed a tutte le monumentali costruzioni. Dal molo di Genova alle grande strada ed ospizio del Sempione, dai forti di Alessandria agli argini dell’Jere, dalle gallerie Sotto-alpine alle ferrovie, ai punti ed alle strade in Sardegna, dai monumenti di granito alle mura che se fossero fatte nei tempi antichi si potrebbero chiamare ciclopiche. (2)
In questo villagggio che un generoso cittadino, figlio del lavoro e fornito di considervole censo, procura in questi giorni di abbellire con utili ed aristiche costruzioni, con fontane, con solidi ponti, coll’aprirvi comunicazioni e dell’educare la crescente generazione al sentimento del bello, dell’utile, dell’onesto e della fatica, vedeva la prima luce Pietro Vincenzo Mosca il 21 settembre 1800.
La natura gli aveva negato l’udito e la parola; ma gli diede in compenso un’anima sensitiva all’aspetto (= alla vista) delle bellezze della natura; lo favorì di ingegno e di fermo e tenace proposito, e di sentimento per le arti belle, ma principalmente per la pittura.
Nato da famiglia agiata ed educato nei primi passi alla vita da amorosi genitori, venne nel 1809 inviato a Parigi nell’Istituto Imperiale fondato per decreto del Consiglio di Stato nel 1783 dall’abate De L’Epée, che la Francia si onora di annoverare fra i più distinti e filantropi (= caritatevoli) cittadini.
Il Mosca ebbe la fortuna di trovare nell’abate Sicard, allievo dell’Epée e peritissimo egli pure nell’arte didascalica (= di insegnare) ai sordi e muti, un amorevole precettore, un vero amico ed un secondo padre. Egli conobbe le inclinazioni del giovane valligiano biellese ed apprezzandone i pregi intellettuali e le belle doti morali, lo indirizzò alla pittura.
Nel 1814 tramontando dall’orizzonte francese la Napoleonica stella (= Napoleone I), i genitori del Mosca lo richiamarono dalle sponde della Senna. – La sua educazione ed istruzione non era compiuta poiché, quantunque si fosse fatto ammirare per istudio ed applicazione ed avesse riportati non pochi premi d’incoraggiamento, tuttavia molto ancora doveva applicarsi per raggiungere nell’arte quella perfezione che desiderava.
Passati alcuni anni nella casa paterna in Rosazza dove si dilettava a copiare i disegni, a dipingere scene campestri, venne nel 1818 affidato al cav. Pecheux, pittore alle corte di Vittorio Emanuele I, il quale conoscendo le inclinazioni del giovanetto lo indirizzava ai lavori di storia.
Continuò gli studi nell’Accademia di Torino sotto la direzione del Biscarra, e, desioso di perfezionarsi, si recò in Roma nel 1825 alle scuole del celebre Camuccini, e vi rimase sino al 1830, tempo appunto del suo viaggio col prigioniero dello Spielberg (= Silvio Pellico) nel restituirsi (= tornare) in patria.
Inspirandosi in Rona alle bellezze artistiche, ai dipinti dei sommi maestri, ritornava in patria ricco di tante cognizioni e vero pittore; e come tale venne giudicato nella Esposizione del Valentino (in Torino), nel 1832 quando vi presentò alcuni lavori fra i quali il Massinissa. – Nell’Esposizione artistica industriale Biellese del 1840 ne ebbe lodi.
Molti e moltissimi furono i quadri ed i ritratti che uscirono dal suo pennello. Mi limito ad accennare solamente il San Pietro nella parrocchia di Rosazza, Sant’Onorato nel duomo di Biella, San Giulio d’Orta in Ronco-Biellese, una copia della visione di san Romualdo di Franco Sacchetti, un David originale, la Pietà figliale, e svariatissimi altri dipinti ed affreschi in Zumaglia, nella casa paterna in Rosazza, nella villa della Bonina e gran numero di ritratti in varie famiglie del Biellese.
In tutti questi dipinti, come si legge nel Messaggiere Torinese del 1837 in cui si parla appunto dei fratelli Mosca: <<Si ammira la finitezza del disegno, la vivacità e l’impasto del colorito, la gradazione delle tinte, la morbidezza dei contorni, e nei quadri originali si osserva ancora la naturalezza della pose, la leggiadria dell’insieme, ed un bellissimo studio di pieghe>>.
Alla valentia dell’arte e alla coltura letteraria in italiano e francese, accoppiava un cuore nobile e generoso ed una lealtà a tutta prova.
Nel corso della vita ebbe giorni lieti e giorni di prova (= dispiaceri); ma in tutte le circostanze, nelle gioie come nei dolori, nella fortuna come nelle peripezie (= disgrazie), mantenne dignità di carattere, elevatezza di pensiero e contegno femro ed elevato e nel suo fratello Alessandro Luigi ebbe un sincero amico (3). E siami lecito riprodurre dal Messaggiero Torinese le seguenti parole: <<Quello che sopra tutto vi commoverà e vi desterà soavissime commozioni nell’anima, sarò il vedere l’affetto che l’un l’altro si portano. Se uno di essi vi condurrà innanzi ad un quadro, ve lo esporrà alla sua luce migliore, e leggendovi in volto i sentimenti dell’anima, lo vedrete gioire e rallegrarsi; se la sua compiacenza si dipingerà sul suo volto, oh allora siate certi che quel quadro é del suo fratello; chè le lodi che a lui medesimo compartite, gli giungono meno grate di quelle che accordate al suo consorte (= fratello) di sventura>>.
Se non che, i giorni dell’uomo sono numerati; e Pietro Vincenzo Mosca a settantacinque anni, quantunque sembrasse vegeto e robusto, discendeva nel sepolcro dopo breve malattia nel giorno nove febbraio or scorso (1876, n.d.r.), confortato dalle religione che gli inspirò sublimi pensieri e che gli suggerì non pochi lavori, e circondato dalla desolata moglie, dall’inconsolabile fratello e da parenti ed amici.
La memoria di tanta virtù merito e di tanta modestia non verrà si presto cancellata. Gli intelligenti della pittura vedranno nelle tavole del Valligiano Andornese un vero artista degno della patria di Bernardino Galliari; i cittadini avranno in lui l’uomo retto e virtuoso; ed i filosofi considereranno in Pietro Vincenzo Mosca un esempio della forza e della potenza educativa, massime quando si tratta di supplire al difetto dell’udito e della loquela.
S.Pozzo
(1) Vedi Le mie Prigioni di Silvio Pellico.
(2) Ciclopoche, si chiamano certe mura antiche di saldissima costruzione, quasi fatte dai Ciclopi, favolosi giganti.
(3) Luigi Mosca, sordomuto egli pure e pittore di genere, fu discepolo dell’Ingres, e come paesista, allievo del Coiquet. Studiò a Parigi e ne ebbe premi ed onorevoli menzioni. Perfetto gentiluomo, gode la stima e l’amicizia di quanti lo conoscono.
Foto di Pietro Vincenzo Mosca inviata da Giuseppe Bolzoni.
Fonte: “L’amico del sordomuto” (1875-76) ps068 (2006-2008)
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