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Modifiche alle legge 5 febbraio 1992, 104, in materia dei Disabili. Proposte di Legge.
Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n.104, in materia di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone handicappate
Atti Parlamentari – Camera dei Deputati – XV legislatura – Proposta di Legge n.1711 – d’iniziativa del deputato PORETTI – Presentata il 27 settembre 2006 – Riconoscimento della sordita` fra le minorazioni aventi connotazione di gravita`
ONOREVOLI COLLEGHI ! — La presente proposta di legge intende fare riconoscere la sordita` fra le minorazioni aventi connotazione di gravita`.
Attualmente, infatti, chi presenta sordita` congenita o acquisita durante l’eta` evolutiva e chiede il riconoscimento della sordita` deve inoltrare domanda all’azienda sanitaria locale competente, riempiendo un formulario in cui va barrata anche la casella « handicap grave comma 3 articolo 3 legge n. 104 del 1992 ». Sembrerebbe un meccanismo automatico, ma non e` cosı`: il riconoscimento della condizione di handicap grave per i sordomuti e` oggetto di controversie.
Inoltre, nel caso di accettazione della domanda, la persona riconosciuta come sorda vedra` il riconoscimento della condizione
di handicap ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge n. 104 del 1991.
Come a dire: dichiarando una minorazione tale da avere connotazione di gravita` (articolo 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992) si vede riconosciuto lo status di « persona handicappata » a norma del comma 1 dello stesso articolo 3 della medesima legge! Un po’ una contraddizione.
Riteniamo che la proposta di legge risponda alla necessita` di semplificazione della normativa e di eliminare il rischio di interpretazioni controverse, rispondendo cosı` alle esigenze di coloro che vivono tale handicap, e a quelle delle loro famiglie.
La presente proposta di legge e` stata elaborata dalla Rosa nel Pugno e dall’Associazione « Luca Coscioni », grazie al lavoro
di Stefano Bottini, gia` deputato socialista e fondatore del « Gruppo sordi Rosa nel Pugno ».
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
1. La condizione di sordita` , come definita ai sensi dell’articolo 1 della legge 26 maggio 1970, n. 381, e successive modificazioni,
e` riconosciuta come minorazione avente connotazione di gravita` ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Atti Parlamentari — Camera dei Deputati – XV Legislatura – Proposta di Legge n.595 d’iniziativa del deputato Lucchese – Presentata il 10 maggio 2006 – Modifica all’articolo 21 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in materia di precedenza nel trasferimento di sede per le persone handicappate.
ONOREVOLI COLLEGHI ! — Sulla materia in oggetto, al fine di integrare una norma che puo` esporsi ad interpretazioni differenziate da parte dei vari organi di giurisdizione, innescando gravi disparita` di trattamento, come peraltro e` gia` avvenuto, sono gia` state presentate nel corso delle passate legislature diverse proposte di legge (atto Camera n. 3326 della XII, atto Camera n. 2956 della XIII e atto Camera n. 650 della XIV legislatura).
Considerata l’importanza della materia disciplinata con la legge n. 104 del 1992, la matrice costituzionale del diritto tutelato, la portata generale della norma nonche´ l’alto valore umanitario e sociale che la stessa riflette; considerata inoltre l’urgenza di eliminare ogni e qualsiasi possibilita` di discriminazione nell’applicazione della stessa norma, nonche´ la modesta spendita di tempo che tale opera di giustizia sociale comporta, ripropongo alla vostra sollecita attenzione, discussione e approvazione la proposta di legge in argomento, facendo proprie e sottoscrivendo le motivazioni espresse dai colleghi deputati che la presentarono originariamente e che qui, di seguito, si riproducono integralmente.
L’articolo 21 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, stabilisce: « 1. La persona handicappata con un grado di invalidita` superiore ai due terzi […] assunta presso gli enti pubblici come vincitrice di concorso o ad altro titolo, ha diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili.
2. I soggetti di cui al comma 1 hanno la precedenza in sede di trasferimento a domanda ». L’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, dedicato alle « agevolazioni » a favore dei suindicati soggetti, prescrive al comma 6: « La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravita` puo` usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro piu` vicina al proprio domicilio e non puo` essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso».
Non v’e` dubbio che si tratti di un diritto di matrice costituzionale, di portata generale, in quanto espressione diretta della salvaguardia della salute e della dignita` umana garantita dai principi fondamentali della nostra Costituzione (articoli 2 e 3), nonche´ del dovere inderogabile di solidarieta` sociale (articolo 3 della Costituzione).
Tale diritto non puo` pertanto tollerare eccezioni ne´ compressioni se non, esclusivamente, di fronte ad esigenze imperative ed altrettanto generali, quali quelle della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico e della morale comune.
Ciononostante, e` ancora vivo il ricordo dell’episodio, gia` denunciato nelle citate proposte delle scorse legislature, per cui e` stata respinta l’istanza di un docente universitario, dializzato trisettimanalmente, volta ad ottenere il trasferimento ad un posto disponibile presso universita` vicina al proprio domicilio, in base all’opinione che la disciplina di tutela dell’handicappato non possa trovare applicazione nel caso di trasferimento di professori universitari in quanto:
a) pregiudiziale al loro trasferimento e` l’espressione del gradimento da parte della facolta` di destinazione, stante il requisito di autonomia di cui godono le universita`;
b) le universita` non possono essere ricomprese tra gli enti pubblici ai quali si riferisce la legge 5 febbraio 1992, n. 104.
A parte la speciosita` dei convincimenti espressi allora dal Ministero dell’universita` e della ricerca scientifica e tecnologica (e, quel che e` piu` grave, avallati con molta leggerezza dal Consiglio di Stato in sede consultiva), qui si tratta di valutare quale dei due principi, quello del diritto alla salute di tutti i cittadini, senza distinzione alcuna, e quello dell’autonomia universitaria, prevalga in caso di ipotesi di conflittualita`.
La Corte costituzionale ha gia` avuto modo di esprimersi al riguardo, con molta avvedutezza, allorquando ha considerato che quella delle universita` non e` « un’autonomia piena ed assoluta, ma un’autonomia che lo Stato puo` accordare in termini piu` o meno larghi, sulla base di un apprezzamento discrezionale che, tuttavia, non sia irrazionale » (Corte costituzionale 14 maggio 1985, n. 145).
Orbene, sarebbe « irrazionale » la previsione di un’autonomia tale (in materia di trasferimenti di docenti, cui la legge riconosce il titolo idoneo all’insegnamento di una determinata materia in tutte le universita` della Repubblica) da inibire l’applicazione di disposizioni di legge che costituiscono principi di riforma economico-sociale della Repubblica e che trovano ineludibile radicamento nei principi fondamentali della Costituzione.
Peraltro, non risponde neanche a verita` incontrovertibile che il trasferimento dei professori universitari sia sempre e comunque subordinato all’espressione di gradimento della facolta` di destinazione.
Questo infatti viene meno ogni qualvolta il bene tutelato rifletta interessi di piu` ampia e decisa pregnanza, quale quello del superiore ordine degli studi, dell’imparzialita` della pubblica amministrazione, del giusto contemperamento tra diritti individuali e interessi collettivi. D’altronde, e` lo stesso ordinamento universitario ad offrire evidenti ed inequivocabili esemplificazioni di cedevolezza del meccanismo del « gradimento » di fronte ad esigenze di ordine superiore: nell’articolo 3, secondo comma, del decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1945, n. 238, che subordina la legittimita` del « gradimento » alla tutela del superiore interesse degli studi, alla mancanza di manifesta ingiustizia e alla completezza e non contraddittorieta` della motivazione di « gradimento ».
Per altro verso, il Consiglio di Stato ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla cedevolezza del requisito dell’autonomia delle universita` , nella specie della loro potesta` di cooptare e di prescegliere il docente mediante chiamata, di fronte al meccanismo concorsuale a cattedra o per trasferimento: « l’istituzione universitaria, nel momento in cui chiede il concorso, deve essere consapevole che la richiesta di concorso si deve intendere fatta per incerta persona e non per un candidato predeterminato, sicche´ la scelta del docente e` in ultimo affidata al meccanismo di soluzione concorsuale », restando pertanto superato « ogni eventuale legame fiduciario tra la singola facolta` e il candidato vincitore » (Consiglio di Stato, Sez. II, 7 aprile 1993, n. 1165/92).
Ma soprattutto elementari considerazioni di mera logica conducono a non poter ritenere intangibile il meccanismo del « gradimento » quale necessario corollario del principio di autonomia universitaria:
se avesse valore esclusivo il gradimento della facolta` , non avrebbe alcun senso bandire concorsi a cattedra o per trasferimento, in quanto su qualsiasi titolo presentato dai candidati risulterebbe prevalente, sempre e comunque, la posizione del candidato che, ancorche´ evidentemente piu` debole, avesse ottenuto il « qualificato gradimento » della facolta` , fermo restando, peraltro, che il mancato gradimento nei
confronti del docente handicappato potrebbe essere stato originato proprio dalla consapevolezza della facolta` che le condizioni di menomazione fisica del docente consentono a questi un impegno lavorativo ridotto rispetto agli altri docenti in buone condizioni di salute.
Sicche´, l’ipotetico conflitto tra norme (quelle sull’autonomia universitaria e quelle sul diritto alla tutela della salute per tutti i cittadini) va risolto avuto riguardo alla differente pregnanza costituzionale delle stesse come al rispettivo radicamento nella coscienza sociale e nel diritto umanitario.
A tale proposito va rilevato che l’Italia ha inteso assumere una serie di impegni di carattere internazionale che presiedono alla integrale tutela della persona umana, in generale, e della salute, in specie.
Tale il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali che, all’articolo 12, impegna gli Stati sottoscrittori a riconoscere « ad ogni individuo », senza eccezioni, la possibilita` « di godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che sia in grado di conseguire » (il Patto e` stato ratificato dall’Italia con la legge 25 ottobre 1977, n. 881, ed e` entrato in vigore per il nostro Paese il 15 dicembre 1978). Alla stessa stregua, la Carta sociale europea riconosce all’articolo 11, senza alcun condizionamento, « ad ogni persona il diritto di beneficiare di tutte le misure che consentano di godere del miglior stato di salute che esse possano raggiungere » (la Carta sociale europea e` stata ratificata dall’Italia con legge 3 luglio 1965, n. 929, ed e` entrata in vigore il 21 novembre 1965).
Entrambi tali atti internazionali prevedono che gli Stati sottoscrittori possano fare dichiarazioni di eccezione o apporre riserve all’atto dell’adesione o della ratifica.
L’Italia non solo non ha inteso apporre alcuna riserva, ma all’atto della ratifica della Carta sociale europea ha inteso esprimere ex verbis l’integrale accettazione degli obblighi sottoscritti: « Le Gouvernement italien accepte l’inte´gralite´ des engagements decoulant de la Charte ». Con cio` , conferendo rilievo anche internazionale al proprio dovere inderogabile di solidarieta` sociale sancito dall’articolo 3 della Costituzione.
E` peraltro notorio e ormai saldamente conclamato quale sia il valore di supremazia che gli accordi internazionali assumono nel nostro ordinamento per effetto della norma sulla produzione giuridica contenuta nell’articolo 10 della Costituzione, che prescrive l’obbligo costituzionale di adeguamento del nostro ordinamento alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute.
E` del pari notorio che tra le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute v’e` la norma fondamentale pacta sunt servanda, che sancisce l’obbligatorieta` costituzionale delle norme di natura pattizia.
Risulta evidente che, se fosse consentito ad una semplice « norma di regime » (qual e` quella che fonda la specialita` ratione materiae della disciplina dei trasferimenti dei professori universitari) porsi in deroga a « principi di struttura » dell’ordinamento (quali sono quelli del dovere inderogabile di solidarieta` sociale dello Stato e quello dell’osservanza degli accordi internazionali), oltre che risultare agevolmente conculcabili diritti inalienabili della persona umana, risulterebbe consentita la violazione di norme internazionali con il conseguente insorgere della responsabilita` dello Stato italiano sul piano internazionale.
Sulla base delle considerazioni che precedono e` agevole ritenere che, se la Corte costituzionale fosse investita del problema della legittimita` costituzionale della normativa speciale sui trasferimenti dei professori universitari handicappati alla stregua del diritto degli stessi di ottenere il trasferimento a posti disponibili vicini al proprio domicilio, non avrebbe esitazioni in ordine alla affermazione della prevalenza delle norme che garantiscono la tutela dell’handicappato.
Tuttavia, dati i meccanismi che nel nostro ordinamento consentono l’intervento dell’organo di legittimita` costituzionale, si corre il consistente rischio che il giudice di merito adito non valuti necessario tale ricorso alla Corte costituzionale e ritenga fondata la propria competenza a decidere nel merito senza sollevare il problema di legittimita`.
La conseguenza piu` macroscopica sarebbe quella della possibilita` di giudizi e valutazioni diversi a seconda del giudice adito, con una discriminatoria quanto esecrabile differenziazione di soluzioni giudiziarie.
Cio` non puo` essere tollerato.
Si impone pertanto l’intervento del legislatore, il quale con una semplice e lapidaria norma integrativa possa fugare ogni ragionevole dubbio e ogni perplessita` ermeneutica.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
1. Il comma 2 dell’articolo 21 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e` sostituito dal seguente:
« 2. I soggetti di cui al comma 1 hanno la precedenza in sede di trasferimento a domanda in qualsiasi ente pubblico, ivi compresi gli enti ad ordinamento autonomo e gli enti decentrati sul territorio, sempreche´ non vi ostino motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ».
Atti Parlamentari — Camera dei Deputati – XV Legislatura – Proposta di Legge n.684 d’iniziativa dei deputati PEZZELLA, BRIGUGLIO, GIULIO CONTI, BELLOTTI – Presentata il 15 maggio 2006 – Modifica all’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in materia di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone handicappate
ONOREVOLI COLLEGHI ! — La legge 5 febbraio 1992, n. 104, « Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate », fu voluta dal legislatore per garantire il pieno rispetto della dignita` umana e i diritti di liberta` e di autonomia delle persone handicappate, promuovendone la piena integrazione nella famiglia e nella societa`.
La formulazione vigente del comma 5 dell’articolo 33 della citata legge n. 104 del 1992, a causa della sua equivoca espressione, ha generato alcuni dubbi interpretativi che hanno portato, specie in sede giudiziaria, alla elaborazione di orientamenti restrittivi che mortificano la ratio stessa della norma, che e` quella di assicurare e affidare, nella nostra societa` , l’assistenza del portatore grave di handicap al proprio nucleo familiare.
Nel tentativo di fugare tali dubbi e di rafforzare la tutela dei portatori di handicap – anche sulla scia della legge 8 marzo 2000, n. 53, recante « Disposizioni per il sostegno della maternita` e della paternita` , per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle citta` », che con l’articolo 19 ha modificato il comma 5 dell’articolo 33 della citata legge n. 104 del 1992, così da non prevedere piu` come requisito la convivenza con il portatore di handicap – con la presente proposta di legge si propone una ulteriore modifica del medesimo comma 5.
Giova ricordare che le circolari del Ministero delle finanze del 9 luglio 1997 e del 7 ottobre 1998 fanno riferimento alla necessita` che, per potere dare corso all’applicazione dell’agevolazione in questione, si trovi « adeguata sostituzione con dipendente dello stesso o di altro profilo ».
Risulta, tra l’altro, che una copiosa giurisprudenza amministrativa ha piu` volte censurato l’interpretazione restrittiva operata dal Ministero nei confronti degli aventi diritto.
Sarebbe, pertanto, opportuno rimuovere tali limitazioni in quanto disposte e previste con atti interpretativi che, nel caso di specie, si pongono in palese contrasto con la ratio della disposizione agevolativa, creando notevoli disagi a coloro che, nella pienezza dei loro diritto, ne chiedono l’applicazione.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
1. Il comma 5 dell’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, e` sostituito dal seguente: « 5. Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che ha necessita` di collaborare all’assistenza continua di un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, ha diritto ad essere assegnato o trasferito presso la sede di lavoro piu` vicina al domicilio della persona bisognosa di assistenza sempre che, presso tale sede, vi sia vacanza di posto. Permanendo l’esigenza di assistenza, lo stesso non puo` , senza il suo espresso consenso, essere trasferito ad altra sede. Tale beneficio, in relazione a ciascun portatore di handicap, una volta concesso non puo` essere richiesto da nessun altro soggetto in possesso dei medesimi requisiti ».
Atti Parlamentari — Senato della Repubblica – XV Legislatura – Disegno di Legge n.297 d’iniziativa del senatore BUTTI – Comunicato alla Presidenza il 9 maggio 2006 – Modifica all’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in materia di estensione di taluni benefici al coniuge affidatario di persona handicappata in situazione di gravità
Onorevoli Senatori. – La legge-quadro 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, ha avuto il grande merito di rilanciare concretamente le politiche dell’handicap, fornendo reali agevolazioni e benefìci ai diretti interessati nonché a coloro che sono tenuti alla loro assistenza e cura. Tra i risultati di maggiore rilievo vanno senz’altro menzionati i permessi retribuiti ai genitori lavoratori con figli handicappati gravi, l’intervento dei comuni per la promozione del servizi residenziali e domiciliari, il superamento delle barriere architettoniche, l’avvio di programmi di prevenzione delle forme congenite più diffuse di handicap.
Nel corso degli anni, però, sono emerse alcune lacune e incongruenze nella normativa evidentemente non esaustiva di una materia in verità molto complessa e variegata. Nonostante i miglioramenti apportati, la fascia degli handicappati gravi rimane quella maggiormente penalizzata, essendo questi soggetti particolarmente bisognosi di cure specialistiche e di assistenza; essi quindi versano in situazioni di gravissima difficoltà e disagio, finendo per essere considerati un vero e proprio peso per coloro che sono tenuti alla loro assistenza.
Una società che si possa definire civile deve prestare la massima attenzione non solo alle esigenze di queste persone ma anche, e soprattutto, a quelle di coloro che con esse vivono e predisporre tutto quanto necessario per superare qualunque forma di emarginazione e di ghettizzazione.
Con la presente proposta di legge si intende avanzare di un piccolo passo, estendendo anche ai coniugi lavoratori di soggetti affetti da handicap i benefici di cui godono i genitori lavoratori di handicappati gravi, previsti dall’articolo 42, comma 5 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, che ha assorbito il testo dell’articolo 4, comma 4-bis, della legge 8 marzo 2000, n. 53, recante «Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città».
È assurdo, infatti, negare uguale trattamento di favore al coniuge lavoratore di un portatore di handicap grave, ove peraltro si pensi che un figlio handicappato può generalmente contare sull’assistenza e la cura di almeno due persone, quali sono i genitori, mentre il coniuge handicappato grava sempre e comunque sull’altro.
Certi della bontà di una simile iniziativa, auspichiamo una pronta approvazione della presente proposta di legge.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
1. Il comma 7 dell’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
«7. Le disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4 del presente articolo, nonché quelle di cui all’articolo 42, comma 5 e all’articolo 33, commi 1 e 2 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, si applicano anche ai coniugi affidatari di persona handicappata in situazione di gravità».
Atti Parlamentari — Senato della Repubblica – XV Legislatura – Disegno di Legge n.302 d’iniziativa del senatore BUTTI – Comunicato alla Presidenza il 9 maggio 2006 – Norme per il prepensionamento di genitori di disabili gravi.
Senato della Repubblica
Onorevoli Senatori. – Con la legge 5 febbraio 1992, n. 104, si dettano i princìpi dell’ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza delle persone handicappate, ossia di soggetti che presentano una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
Dal momento che la centralità della famiglia nella cura della malattia e nella tutela della salute risulta essere un dato consolidato, ai sensi della legge 8 novembre 2000, n. 328, è opportuno altresì tenere conto delle difficoltà di relazione e comunicazione, della fatica e del logoramento delle persone sulle quali grava l’onere di accudire quotidianamente disabili nonché le difficoltà di natura economica che possono derivare dalla necessità di fare fronte ad impegni prolungati nel tempo.
A queste finalità risponde il presente disegno di legge che prevede (con indubbi vantaggi economici a carico dello Stato) il prepensionamento per i genitori che assistono figli disabili in condizioni di massima gravità.
Tali vantaggi economici consistono nel risparmio statale derivante dall’eliminazione dei costi dovuti per supplenze e per sostituzioni che, nella realtà attuale, si producono a causa delle necessarie assenze dal posto di lavoro in cui incorre il dipendente pubblico per assistere il familiare disabile. L’accoglimento della presente iniziativa legislativa è altresí auspicabile dal momento che il soggetto portatore di handicap potrebbe essere curato e assistito nell’ambito familiare, invece di essere affidato ad appositi istituti i cui costi, come è noto, ricadono in massima parte sullo Stato.
Con l’approvazione del presente disegno di legge l’Italia, infine, verrebbe a porsi in sintonia con le normative comunitarie ancora disattese nel nostro Paese.
Al fine di evitare una eccessiva generalizzazione della concessione del privilegio pensionistico, il presente disegno di legge si riferisce unicamente al caso di invalidità di maggiore gravità quale risulta essere quello dell’inabile al 100 per cento con necessità di assistenza continua, non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita (leggi 11 febbraio 1980, n. 18, 21 novembre 1988, n. 508, e 5 febbraio 1992, n. 104).
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
Genitori che assistono figli invalidi con totale e permanente inabilità lavorativa, che assume connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ed ai quali è riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100 per cento, con necessità di assistenza continua, che non sono in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, e che sono gestiti totalmente nell’ambito della famiglia, possono chiedere di usufruire di prepensionamento quando hanno raggiunto il requisito di venti annualità di contribuzioni versate con la rendita calcolata su quaranta anni di contribuzione.
nw67 agg. 10/2006
Newsletter della Storia dei Sordi n.67 del 4 luglio 2006
(aggiornato al 25 ottobre 2006)