Iscriviti: Feed RSS
cerca nel sito
Il miracolo di Sant’Antonio sull’unità dei Sordi Italiani
Oggi é la festa in onore di Sant’Antonio da Padova. Il miracolo del Santo sull’unità dei Sordi italiani. Nel settembre del 1932 , Ieralla citò nel suo scritto, per generosa e coraggiosa iniziativa di Antonio Magarotto convennero a Padova i rappresentanti delle vecchie associazioni italiane dei sordomuti per un Convegno patriottico, religioso e civile. Fu un avvenimento singolare, storico ed ineguagliabile dato il clima teso che disuniva l’ambiente dei sordomuti italiani dolorosamente ed ingiustamente incompreso. Non fu quindi facile conciliare nella città del Santo le schiere di Associazioni diametralmente opposte e cioè la Federazione Italiana delle Associazioni dei sordomuti, presieduta dal sordo Giuseppe Enrico Prestini e la Unione Sordomuti Italiani, presieduta dall’udente Enrico Vanni. La generosa idea di Antonio Magarotto superò questa insormontabile barriera facendo affluire a Padova per una manifestazione patriottica e religiosa le due parti che non potevano esimersi dato il clima politico che imperversava negli anni ‘20 e ‘30…”.
Come primo atto del Raduno “ci fu l’omaggio di un cero all’Arca di Sant’Antonio a nome di tutti i sordomuti d’Italia e tutti si raccolsero in devoto raccoglimento”, nonché la medaglia del Raduno “Ephphetha”, diametro circa 15 cm, ideata da Antonio Magarotto e incisa a Padova, fu deposta sull’Arca di Sant’Antonio dai sordomuti partecipanti” e la copia della suddetta medaglia prodotta nello stesso anno (1932) è conservata al Museo dei “Sordi Italiani” presso la sede centrale dell’ENS. L’Ieralla ricorda nel suo scritto che “avvenne il miracolo, quando i sordomuti delle due sponde si raccolsero intorno al Santo con animo felice e sereno dimenticando i loro antichi dissapori non voluti da loro e si ritrovarono fratelli tra fratelli, amici tra amici. Fu un attimo meraviglioso che fece presagire buone speranze per un domani migliore”.
Nel 1932 ebbe inizio la vitalità dell’ENS per merito anche del miracolo di Sant’Antonio perché trovò inspiegabilmente l’unità dei sordi italiani sotto l’egida dell’Ente unico che tiene saldamente la propria attività istituzionale di alto prestigio a tuttoggi.
Nel 1957 la cerimonia commemorativa si svolse in Campidoglio il 4 settembre 1957 con la premiazione, ai padri dell’ENS, della medaglia riprodotta del raduno 1932 con incisione “nel XXV anniversario del raduno di Padova questa medaglia riproduce l’esemplare che i Sordomuti d’Italia posero in quella occasione sull’arca del Santo. A ricordo e celebrazione dell’unità di intenti allora raggiunta per l’istituzione dell’ENS e che li affratella oggi nell’armonia delle opere insieme perseguite per l’avvenire della categoria”
Nel 1962 in occasione del 30° anniversario della costituzione dell’ENS si formò il corteo dei sordomuti alla basilica di Sant’Antonio il quale al Santo ringraziò ancora una volta con l’offerta del “cero” che “ha consentito ad un degno figlio di Padova (Antonio Magarotto, n.d.r.) il coronamento di un suo sogno tanto agognato per il benessere dei sordomuti d’Italia” e poi all’indelebile cerimonia dello scoprimento della lapide che avvenne a Padova, presso l’aula magna dell’Istituto Medi e Superiori per i Sordomuti fondato da Antonio Magarotto, ora Convitto Nazionale dei Sordomuti “Antonio Magarotto”, che evoca perennemente la scrittura marmorea con tutti i nomi dei padri ENS.
La magnifica cerimonia a Padova in occasione del 50° anniversario della Fondazione ENS (20 giugno 1982) si svolse splendidamente con la doverosa rievocazione sul ripercorso storico di 50 anni di operosa esistenza, di lotte, di amarezze e di conquiste per l’ottenimento di posti di lavoro, integrazione sociale, scuole professionali, inserimento dei sordi nella società: “Sempre avanti con la stessa fede”, sotto la Presidenza di Vittorio Ieralla di 80 anni, presente nel primo raduno del 1932, fu molto commovente, ma dopo un mese dalla cerimonia se ne andò nella pace del signore.
Sotto la Presidenza ENS di Armando Giuranna si riorganizzò l’imponente 2° raduno nazionale dei sordomuti italiani nel ritrovato spirito unitario di Antonio Magarotto a Padova il 27 febbraio 1994, affermò che “l’unità raggiunta a Padova nel 1932 fu un vero e proprio miracolo, da quanto raccontano i nostri precursori che erano presenti al Raduno, sfociato in un tripudio generale di gioia per una conclusione lungamente e ansiosamente attesa dopo tante lotte, sofferenze, incomprensioni…” . L’idea di svolgere questo 2° Raduno fu di Ida Collu, subito raccolta da Renzo Corti, presidente della commissione per la difesa dell’immagine di Antonio Magarotto, con l’intesa del Consiglio Direttivo. La cerimonia rievocativa si svolse nello stesso percorso del 1932 cioè la delegazione dei sordomuti partecipanti si recò alla Basilica di Sant’Antonio per deporre un cero al Santo in segno di devozione, di ringraziamento ma soprattutto di speranza per un futuro migliore e di comprensione da parte della Società. Il Mons. Iginio Pestile sottolineò l’importanza del fatto compito dalla delegazione come un gesto d’amore, di pietà e di fede e il cero è un segno di fede, di coraggio e di fiducia.
In altra imponente storica cerimonia in occasione del 70° anniversario di fondazione dell’ENS, a Padova non mancò la forte tradizione dell’ENS che sotto la presidenza di Ida Collu depose il “cero” in segno di rinnovata riconoscenza all’arca del Santo per la grandiosa opera continuativa dell’Ente in tutti i lunghissimi 70 anni con l’indiscutibile elevazione sociale, con la propria dignità dei sordi italiani. La commovente accensione del cero si svolse il 27 settembre 2002, per la cerimonia fu scelta fra i sordi la giovane Lucia Maran perché il suo nonno era presente alla prima funzione religiosa avvenuta a Padova il 24 settembre 1932.
Manifesto di Luisella Zuccotti, 2002.
Oggi è il giorno della festa di Sant’Antonio che é considerato Protettore dei sordomuti come quello di San Francesco di Sales perché il suo miracolo è compiuto per l’opera dell’ENS e l’unità dei sordi italiani che garantisce la vita dei sordi italiani con le numerose leggi benefiche a favore dei sordi: partecipazione alla vita sociale, lavoro, scuola, integrazione umana, provvidenze economiche, ecc. rispetto ai tempi prima del 1932.
Il prossimo anno l’ENS compirà il 75° anno di vita, si rinnoverà l’offerta del cero al Santo, oltre al doveroso segno di ringraziamento, per proseguire sotto la sua protezione il cammino della comunità sorda del nostro paese di tutte le generazioni di ieri, oggi e domani. Viva l’ENS, Viva San Francesco di Sales, Viva Sant’Antonio da Padova. nw051 (2006) Autore: Franco Zatini.
13giugno SANT’ANTONIO DA PADOVA dottore della Chiesa
Antonio è uno dei santi più amati e venerati nel mondo. La sua vasta dottrina, condensata nei «Sermones», che fa di lui uno dei maestri del suo tempo, è offuscata dalla fama di operatore di “miracoli”. Per tutti è semplicemente il “Santo”. Gli ammiratori gli hanno dedicato a Padova, alcuni anni dopo la sua morte, una stupenda basilica definita da Paolo VI “clinica spirituale”, per i prodigi interiori che di continuo lì si compiono e dichiarata da Giovanni Paolo II, nel giugno del 1997 “santuario internazionale”.
Il Santo, che ha vissuto in Italia solo alcuni anni della sua vita conclusasi a Padova, è di origine portoghese. Gli ha infatti dato i natali intorno al 1195 Lisbona, in Portogallo. Antonio era figlio di Martino, nobile che la tradizione vuole della famiglia dei Bulhoes y Taveira de Azevedo – da noi chiamati più semplicemente i Buglioni – che annoverava tra i suoi membri il prode Goffredo, condottiero della prima crociata.
Quindicenne, Fernando (con tale nome era stato battezzato) entrò fra i canonici regolari di sant’Agostino, a Lisbona prima e poi a Coimbra. Di intelligenza acuta e brillante, in pochi anni riuscì a immagazzinare tanta cultura teologica, scientifica e soprattutto biblica da meritarsi in seguito il titolo di “Arca del testamento”. Gli studi non riuscirono però ad appagare le aspirazioni del suo animo generoso. Il giovane canonico trova la sua strada il giorno in cui a Lisbona approdarono le salme, di cinque frati francescani martirizzati nel Marocco. Decise allora di seguirne le orme entrando tra i francescani di Coimbra con il nome di frate Antonio.
Si era recato in Marocco per coronare la propria vita con il martirio, ma misteriose febbri lo obbligarono a tornare in patria. Durante il viaggio una tempesta lo fece naufragare sulle coste della Sicilia, presso Milazzo. Risalì quindi l’Italia, in compagnia di altri frati, diretti ad Assisi dove si svolgeva il Capitolo generale poi detto “delle stuoie”. Era il 1221. Nella cittadina umbra Antonio conobbe Francesco, il quale qualche tempo più avanti, ammirato dalla sua profonda dottrina, lo chiamerà “mio vescovo”.
Ad Assisi il frate portoghese venne destinato al convento-romitorio di Montepaolo, vicino a Forlì, dove rimase per qualche tempo alternando preghiere, lavoro e studio. Una predica improvvisata, in occasione di un’ordinazione sacerdotale (era venuto a mancare il predicatore ufficiale), impose all’attenzione di tutti la profonda cultura, la capacità oratoria, e la ricchezza interiore di frate Antonio. All’indomani, lasciato l’eremo di Montepaolo, il frate era già sulle strade polverose dell’Italia settentrionale e della Francia, missionario itinerante e predicatore, ad annunciare il messaggio evangelico e francescano, contro le labili costruzioni degli eretici che avevano infestato quelle regioni. Nella eretica Rimini, che rifiutava di ascoltare la Parola di Dio, egli andò a predicare ai pesci che lo accolsero sulla riva. In altre città eccolo sfidare gli eretici inducendo una mula, tenuta a digiuno per giorni, ad inginocchiarsi di fronte all’ostia consacrata, mentre alle sue froge giungeva invitante il profumo d’un bel mucchio di biada.
Tornato in Italia, si stabilì a Padova, dove proseguì la sua attività di Predicatore.
Celebre un suo quaresimale, tenuto a Padova alcuni mesi prima di morire, e un coraggioso quanto sfortunato incontro con il feroce tiranno Ezzelino da Romano, dal quale era andato a perorare la liberazione di alcuni prigionieri tenuti barbaramente segregati nelle celle del suo palazzo.
Negli ultimi tempi, spossato dalla fatica e dalla malattia (soffriva per le conseguenze delle febbri malariche) accettò l’invito di un amico, il conte Tiso di Camposampiero, a recarsi nel convento di quella cittadina, immerso nella quiete della campagna, per riposarsi. A Camposampiero, Antonio si era fatto costruire dall’amico conte tra i rami fronzuti di un noce una piccola cella, dove si ritirava a pregare. Ma quella solitudine fu infranta dagli ammiratori che, scoperto il nascondiglio segreto, si recavano in massa a chiedergli il conforto della parola.
Nella tarda primavera del 1231, Antonio fu colto da malore. Deposto su un carro trainato da buoi, venne trasportato a Padova, dove aveva chiesto di poter morire. Giunto però all’Arcella, un borgo della periferia della città, la morte lo colse. Spirò mormorando: “Vedo il mio Signore”. Era il 13 giugno. Aveva 36 anni.
Il Santo venne sepolto a Padova, nella chiesetta di santa Maria Mater Domini, il rifugio spirituale del Santo nei periodi di intensa attività apostolica. Un anno dopo la morte, la fama dei tanti prodigi compiuti convinse Gregorio IX a bruciare le tappe del processo canonico e a proclamarlo santo. La Chiesa ha reso giustizia alla sua dottrina, proclamandolo nel 1946 di «dottore della chiesa universale»
Fonte: enrosadira.it
Newsletter della Storia dei Sordi n.51 del 13 giugno 2006
«La storia è testimonio dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita» (Cicerone)
«La storia non è utile perché in essa si legge il passato, ma perché vi si legge l’avvenire» (M.D’Azeglio)
«Bisogna ricordare il “passato” per costruire bene il “futuro”» (V.Ieralla)
Per qualsiasi segnalazione, rettifica, suggerimento, aggiornamento, inserimento dei nuovi dati o del curriculum vitae e storico nel mondo dei sordi, ecc. con la documentazione comprovata, scrivere a: info@storiadeisordi.it
“Storia dei Sordi. Di Tutto e di Tutti circa il mondo della Sordità”, ideato, fondato e diretto da Franco Zatini