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Il contributo di Osvaldo Tosti all’emancipazione dei sordi

Premessa
L’emancipazione dei sordi, basata principalmente sulla loro istruzione o, come si usa dire, sulla loro educazione, si sviluppa nel corso della sua storia secondo i contesti in cui va affermandosi, dalla metà del 1500 in poi, dando origine progressivamente, e in particolare negli ultimi decenni, dopo circa quattro secoli, a una presa di coscienza pressoché totale – da parte degli stessi sordi – dei propri diritti e della propria cultura.

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Osvaldo Tosti

Questa consapevolezza si basa su due condizioni essenziali. Da una parte l’emancipazione dei sordi, che non sono più, come erano indebitamente considerati nel passato, esseri incolti, analfabeti, adatti nel migliore dei casi alle mansioni più umili, ma ormai istruiti, capaci e consapevoli delle proprie potenzialità; dall’altra, il maturare nella società – e non solo nei confronti dei sordi – di una diversa percezione del disabile in generale, che non viene più considerato un peso inutile, oggetto di iniziative essenzialmente caritative, demandate a un sentimento etico o religioso, vedendo in essi prioritariamente anime da salvare o cittadini da recuperare, più che rivolte a un suo riconoscimento come persona. Indubbiamente, nella prima fase di questo processo ebbero una particolare importanza i primi educatori, da Pedro Ponce in poi, che agirono certamente in buona fede per il bene dei sordi, secondo le conoscenze delle varie epoche in cui vissero e operarono. A questi educatori appartiene certamente Osvaldo Tosti, anche se fu uno degli ultimi, prima che i sordi fossero in grado, anche nel nostro Paese, di prendere interamente nelle loro mani il proprio destino. Nato nel 1913 a Piancastagnaio, alle falde dell’Amiata, Osvaldo Tosti è morto il 16 di maggio del 2001 a Firenze. Era entrato giovanissimo nell’Ordine degli Scolopi, fondato a Roma nel 1617 dal sacerdote spagnolo Giuseppe Calasanzio – proprio allo scopo di dare un’istruzione adeguata ai giovani in difficoltà – ed era stato ordinato sacerdote a Firenze, all’età di ventitré anni.

Osvaldo Tosti e i sordi
Tra le istituzioni che si erano occupate dell’educazione dei sordi nell’Ottocento, l’Ordine degli Scolopi aveva fornito importanti contributi. In Italia, lo Scolopio Ottavio Assarotti aveva dato vita a una scuola per sordi a Genova agli inizi dell’Ottocento, e Tommaso Pendola a Siena – prima come studioso di filosofia morale e poi come educatore – si era occupato dei problemi connessi alle sordità infantili e aveva fondato nel 1828 l’Istituto che porta ancora oggi il suo nome. Per sua scelta e per volontà dei superiori, Osvaldo Tosti venne a Siena nel 1937 per insegnare ai sordi nelle classi dell’Istituto Tommaso Pendola, che a quei tempi godeva di un meritato prestigio, derivato dalla tradizione stabilita dal fondatore – docente e poi primo Rettore della locale Università – mantenuta e forse accresciuta dai suoi successori. Pur non essendovi obbligato, il Tosti volle avere alle spalle un curriculum di studio anche formalmente adeguato e si preoccupò di conseguire l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole elementari presso l’Istituto Magistrale Statale «G. Pascoli» di Firenze, ottenendo poi la specializzazione per l’insegnamento ai sordi presso la scuola di Metodo Statale “G. Cardano” di Milano e infine, qualche anno dopo, la laurea in Pedagogia presso l’Università Statale di Roma. Da queste tre scelte appare immediatamente il carattere dell’uomo, che volle conseguire i suoi titoli accademici sempre presso scuole statali, rifuggendo da una più facile e discutibile via, attraverso le numerose e pur quotate Istituzioni religiose. Intanto, faceva il suo tirocinio pratico d’insegnamento a Siena, avendo illustri maestri, tra cui Guido Meucci, che era allora Direttore dell’Istituto.

Osvaldo Tosti e il metodo d’insegnamento
Quando Ovaldo Tosti fece le sue prime esperienze nell’ educazione dei sordi, il metodo d’insegnamento ufficialmente riconosciuto era uno solo: quello orale. Nell’ambito della scuola speciale allora esistente, sia pubblica che privata, non si dubitava della sua efficacia e della sua bontà: si trattava solo di perfezionarlo e di renderlo sempre più accessibile sia ai docenti che agli alunni. Proprio a questo perfezionamento il Tosti dette i suoi primi e forse più importanti contributi teorici e pratici. L’Istituto di Siena, ai tempi del Pendola, aveva iniziato la sua attività didattica basandosi sul metodo mimico, sull’esempio della scuola francese ispirata dal De l’Épée, attraverso l’Istituto di Genova. Dopo più di quaranta anni, il Pendola si convinse dei vantaggi del metodo orale, di cui gli era arrivata l’eco da parte di noti educatori e, in particolare, del Balestra, pronunciando la frase riportata poi dal Meucci: “facciamoli dunque parlare”. Osvaldo Tosti, nel 1937, trovò il metodo orale in grande auge e il metodo orale gli fu insegnato alla Scuola di Milano, dove conseguì la sua specializzazione, praticandolo senza variazioni nei primi anni d’insegnamento, dal 1937 al 1952, quando anche in Italia incominciava a diffondersi la pratica della rieducazione acustica per l’utilizzazione di residui uditivi prima trascurati. Già dal 1917, negli Stati Uniti si adoperavano sussidi di amplificazione con alunni sordi in diversi Istituti, tra cui il Gallaudet College di Washington, ma in Italia fu solo nel 1948 che sorse a Milano una scuola basata sullo stesso principio, presso l’Istituto statale per sordomuti. L’Istituto di Siena, che era stato sempre all’avanguardia dell’innovazione, e come tale era stato indubbiamente vissuto nel 1870 il passaggio dal metodo mimico al metodo orale, decise immediatamente la sperimentazione della nuova tecnica, e dopo un periodo speso nell’attrezzatura e una prima applicazione nella propria scuola materna, dotò le sue classi dei nuovi e complessi dispositivi tecnici, costruendo anche una camera silente per la misurazione dei residui uditivi, che fu a lungo, per le sue apparecchiature audiometriche, tra le più avanzate in Italia. Di quest’operazione, nei suoi aspetti sia teorici che pratici, fu incaricato Osvaldo Tosti, che studiò con tutto il suo impegno il problema, acquisendo le conoscenze e le abilità richieste e trasmettendole agli altri insegnanti, acquistando un’esperienza specifica nel settore, tanto che in seguito, nel 1974, fu chiamato a presiedere la Società Italiana tra Foniatri e Logopedisti. E, a tale proposito, si devono ricordare gli stretti rapporti di collaborazione con la Clinica Otorinolaringoiatria dell’Università di Siena. Il Tosti fu anche docente nella Scuola di Metodo dell’Istituto, preparando nel corso degli anni centinaia di insegnanti specializzati nell’insegnamento ai sordomuti e promovendo, tra l’altro, l’inserimento della Psicologia come materia autonoma di studio nel curriculum didattico.

Osvaldo Tosti e l’inserimento dei sordi nella scuola comune
Il movimento sorto dopo il 1968 a favore dell’inserimento degli alunni disabili nella scuola comune, con l’abolizione delle scuole e delle classi speciali, si rivolse solo qualche anno dopo alla scuola dei sordi. L’Istituto Pendola fu subito sensibile anche a questa nuova pratica educativa, cominciando dalla scuola media, e il Tosti fu in prima linea anche per la sua realizzazione. L’Istituto Pendola attrezzò, nel 1976, le aule adatte a preparare i suoi alunni più grandi all’esame di licenza di scuola media come privatisti, dato che allora non si poteva fare diversamente, e concordò con la Scuola più vicina all’Istituto particolari modalità d’inserimento di propri alunni sordi nelle classi, specialmente per alcune materie di studio, assicurando l’assistenza di propri insegnanti appositamente preparati, con risultati ritenuti soddisfacenti.

Osvaldo Tosti pubblicista
Osvaldo Tosti è autore di molti contributi alla storia dell’educazione dei sordi e ai particolari problemi pedagogici e didattici che vi sono connessi, pubblicati per la maggior parte sulla Rivista del suo Istituto, L’educazione dei sordomuti, fondata da Tommaso Pendola nel 1872, di cui egli si occupò costantemente come redattore, pur rimanendo affidata la direzione, per prassi costante, al Direttore dell’Istituto.
Il primo lavoro, comparso nel 1950, avendo la rivista ripreso le pubblicazioni nel 1949 dopo una lunga interruzione dovuta alla guerra, è costituito da un coraggioso e circostanziato intervento nel corso di una polemica sorta a proposito di uno scritto del noto pedagogista Luigi Volpicelli, che aveva riportato con evidente sarcasmo, nell’appendice di un suo libro sull’infanzia, alcune considerazioni sul saggio di bambine sordomute e sulle loro maestre, al quale aveva assistito in un Istituto, di cui peraltro non fa il nome. I lavori successivi, che non è possibile sintetizzare in questa sede, furono molti e particolarmente indicativi, precisando gli interessi di storico e di teorico del Tosti, e le sue capacità di applicare nella pratica educativa i principi enunciati. Possiamo appena ricordare i suoi studi sul Cardano e sull’Itard, sul metodo Rochester, sui metodi Agazzi e Montessori applicati ai bambini sordi, sul problema della preparazione professionale dei sordi, sulla storia della scuola materna ed elementare per i sordi, sui principi concettuali del metodo orale e sulla fonetica, di cui fu indiscusso conoscitore e maestro, fino a un lavoro del 1977, lo stesso anno in cui lasciava per limiti d’età la direzione del suo Istituto, sulle possibilità e i limiti di un’istruzione non specializzata dei sordi. Si tratta di un nucleo complesso di concezioni e di osservazioni intensamente vissute, che attendono un adeguato esame critico per una giusta collocazione nella storia dei sordi, a testimonianza del passato e come auspicio per l’avvenire.

Conclusione
I contributi che il Tosti ha offerto – come teorico e come diretto operatore – all’educazione dei sordi, nel contesto delle problematiche che distinsero i suoi tempi, richiederebbero uno studio più approfondito e puntuale. Qui, nell’immediatezza della sua scomparsa, abbiamo ricordato solo quelli che ci sembrano i tratti essenziali della sua vita e delle sue impostazioni. È superfluo aggiungere che Osvaldo Tosti ebbe altri interessi e altre attività, come cultore della storia del suo Ordine, con particolare riguardo all’archivistica, cui dedicò gli ultimi anni della sua vita lunga e operosa, senza dimenticare il suo impegno di religioso e di sacerdote, per cui fu chiamato a Roma durante lo svolgimento del Concilio Vaticano Secondo nel 1962, e da cui discende il suo impegno di agiografo, che non spetta a noi illustrare. È possibile che in questa sede abbiamo esaltato le sue qualità migliori, sorvolando su alcuni aspetti della sua personalità, in particolare sulla ferma coerenza con le proprie idee, che lo portò qualche volta a imporle con energia anche agli altri, in contesti in cui un tratto più diplomatico avrebbe giovato alla sua stessa reputazione, ma non, probabilmente, alla sua dignità. Chi ha scritto queste note, lo ricorda così e non ha inteso fare opera di storico o di biografo, ma solo riproporlo a quanti lo hanno conosciuto, a quanti lo hanno inteso unicamente nominare e a quanti, tra i più giovani, non sanno neppure che sia esistito. A questi ultimi possiamo assicurare che fu un uomo sinceramente votato alla causa dei sordi, anche se agì, e non poteva fare altrimenti, in un ambito specificamente delimitato, che oggi si riconosce e si ha ragione di riconoscere storicamente superato. Ma è la sorte comune di tutti gli uomini, di tutti noi che viviamo nella storia – nella nostra storia – che avanza inevitabilmente con o senza di noi, mentre siamo in vita o dopo, quando rimarrà di noi solo un ricordo in chi ci ha conosciuto e stimato.
E molti di noi hanno conosciuto e stimato Osvaldo Tosti per le sue doti di studioso e di uomo impegnato in un’opera che profondamente e sinceramente ha sentito con tutto se stesso. Da Parole & Segni n.1 del 2002, ps022 (2002).

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